Bruxelles – Il momento per far convergere il futuro dell’Unione Europea e dei Balcani occidentali è questo. Nella prospettiva della Conferenza biennale sul futuro dell’Europa – che non ha ancora trovato una data dopo i ripetuti slittamenti dallo scorso 9 maggio – l’inclusione della regione nella ricerca di una risposta comune alle sfide dell’Unione nel prossimo decennio può diventare la pietra miliare del progetto di integrazione europea. “Siamo a uno sliding door della storia europea”, ha rivendicato l’ex-primo ministro italiano e direttore della Scuola di affari internazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi, Enrico Letta, nel corso di una videoconferenza organizzata oggi dall’European Policy Centre.
“Siamo sommersi da sfide ‘esterne’, dalla Brexit alla recessione scatenata dal Coronavirus”, ha continuato l’ex-premier. “L’Unione Europea deve ora darsi una nuova visione e missioni per il futuro, che passino dall’integrazione dei Paesi vicini”. Tra questi, appunto, i Balcani occidentali: “La loro eventuale partecipazione per disegnare il futuro dell’Europa sarebbe di buon auspicio”. Da parte europea, “sarebbe importante dare loro un messaggio positivo, in un momento in cui vengono messi veti ai negoziati per l’accesso di alcuni di questi Paesi”. Calma e determinazione per la cooperazione sono le risposte di Letta per uscire dall’impasse: “Non dobbiamo perdere la bussola dell’integrazione europea”.
In una Conferenza sull’evoluzione del progetto europeo che ancora non si sa quando e con quali modalità potrà tenersi, l’Unione non ha però ancora considerato davvero la possibilità di includere i Paesi balcanici che aspirano all’adesione UE. “È un’opportunità enorme per indirizzare le nostre politiche future e rivolgerci ai candidati nel Paesi balcanici”, ha puntualizzato l’eurodeputato slovacco Vladimír Bilčík. “Dal Parlamento Europeo abbiamo mandato un segnale chiaro con la risoluzione di gennaio”. Tra le questioni di primaria importanza che dovranno essere affrontate, “c’è anche quella del futuro delle istituzioni europee. Per questo dobbiamo chiamare a raccolta le organizzazioni della società civile, anche dei Balcani”. Considerato il fatto che con Serbia e Montenegro devono ancora essere chiusi tutti i capitoli negoziali, mentre con Albania e Macedonia del Nord i negoziati non ancora aperti, “sarebbe utile coinvolgerli sulle questioni più profonde nell’arco dei prossimi 10/20 anni, in cui anche loro possano dare un contributo”. Sicuramente la transizione verde e l’innovazione digitale, come dimostrato al summit di Sofia dello scorso 11 novembre.
Tra le organizzazioni della società civile balcanica c’è anche il Centro per la politica europea (CEP) di Belgrado. La direttrice, Milena Lazarević, ha messo in luce tre fattori-chiave per il coinvolgimento della regione nella conferenza: “Prima di tutto per l’interdipendenza tra Balcani ed Unione Europea dall’inizio del millennio. Poi sarebbe un’occasione per proiettarci nel futuro e soprattutto per creare fiducia reciproca, in modo da non dare ascolto ad altre sirene esterne”, ha sostenuto. Anche alcuni problemi comuni a UE e Balcani occidentali potrebbero essere affrontati insieme: “La questione del rispetto dello Stato di diritto ci riguarda tutti, lo hanno mostrato in questi giorni i veti sulle condizionalità del bilancio pluriennale UE. Il modo in cui alla regione sarà chiesto il rispetto dello Stato di diritto, rifletterà il modo in cui l’Unione vorrà comportarsi internamente”, ha concluso Lazarević.
Lo scontro sui negoziati della Macedonia del Nord
I problemi però, ben prima del coinvolgimento degli attori balcanici nella Conferenza sul futuro dell’UE, sono a monte. In particolare per la Macedonia del Nord, che insieme all’Albania è la prossima candidata a diventare Paese membro dell’UE. Questa settimana la Bulgaria si è opposta all’avvio dei negoziati per l’adesione di Skopje all’Unione, per controversie di natura cultural-nazionalistica. “Approviamo il quadro negoziale con l’Albania, ma in questa fase non quello con la Repubblica della Macedonia del Nord”, ha dichiarato la ministra degli Esteri bulgara, Ekaterina Zaharieva, al termine del Consiglio Affari Generali di martedì. “Nemmeno Bruxelles ci può imporre di approvare il quadro negoziale senza porre condizioni a Skopje”, ha rincarato la dose.
Immediata la risposta del premier macedone, Zoran Zaev: “Sono estremamente deluso. Il no di Sofia costituisce la più grande sconfitta dell’Unione Europea“. Il premier ha osservato che “Skopje ha dato prova di voler accogliere i valori europei firmando negli ultimi anni gli accordi di amicizia e collaborazione con Bulgaria e Grecia, ma non è stata ricambiata in questo dall’Unione Europea”. Rimane la speranza che qualcosa possa cambiare in extremis: “Spero che si possa arrivare a un accordo entro fine anno”.
La Commissione Europea si trova tra due fuochi, ma dalle parole del vicepresidente per le relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, filtra ottimismo: “Siamo sul rettilineo finale per aprire negoziati di adesione”, ha dichiarato nella conferenza stampa post-Consiglio di martedì. “Bisogna sforzarsi per trovare un accordo tra Bulgaria e Macedonia, mostrerebbe a tutta la regione che il processo di allargamento funziona e dà risultati”. Per il vicepresidente della Commissione, “non si possono portare a livello europeo problemi bilaterali irrisolti, dobbiamo mandare un segnale di affidabilità ai Balcani. Skopje e Tirana hanno fatto immensi sforzi per far parte della famiglia europea, bisogna iniziare negoziati concreti”, ha concluso.