Bruxelles – È arrivata anche la conferma della Commissione Europea sull’impatto della pandemia Covid-19 sul mercato del lavoro nell’UE: si è invertito il trend di crescita del tasso di occupazione su tutto il territorio dell’Unione, come è emerso dai dati del secondo trimestre del 2020 presentati nella proposta di Relazione comune sull’occupazione 2021. Per quanto riguarda l’Italia, nonostante sia stata registrata una diminuzione del tasso di disoccupazione, si registrano grosse criticità sul fronte dei giovani “Neet” (chi non cerca un impiego, non frequenta una scuola o un corso di aggiornamento professionale), del gender gap (disuguaglianza tra uomini e donne nell’accesso al mercato del lavoro e alla retribuzione) e del rapporto tra tasso di occupazione e ore lavorate. Fattori già presenti anche prima della crisi Covid-19, ma aggravati in questo mesi di pandemia. Queste le aree prioritarie per le riforme e gli investimenti da includere nel piano di ripresa, come indicato dalla relazione presentata oggi dal collegio dei commissari nell’ambito del semestre europeo (processo di coordinamento delle politiche economiche dei Paesi membri).
Problemi di occupazione
La Commissione ha evidenziato che il trend di decrescita del numero di occupati nel secondo trimestre del 2020 è comune a tutta l’Unione Europea (l’unico Paese in controtendenza è Malta, con un aumento pari all’1,7 per cento) e questo fattore rifletterebbe l’impatto della crisi Covid-19 sul continente. La media italiana è in linea con quella UE al -2,7 per cento – che in Europa significa un calo di sei milioni di lavoratori. Deve però essere rilevata la discrepanza con un altro fattore, quello delle ore lavorate: questo calo è stato maggiore di quello dell’occupazione (la media UE è del -13,5 per cento) e questo, secondo il report, “può essere in gran parte attribuito al funzionamento di schemi di lavoro a tempo ridotto“, ovvero la tenuta contro l’incremento della disoccupazione. L’Italia compare nella lista dei Paesi con le maggiori discrepanze tra i due indicatori (al 17,3 per cento), insieme a Lussemburgo, Slovacchia, Cipro, Grecia, Repubblica Ceca, Germania e Francia. “I programmi di lavoro a tempo ridotto hanno contribuito a contenere la distruzione del lavoro”, si legge a commento dei dati forniti. “Dall’inizio della crisi, gli Stati membri hanno ampiamente implementato o rafforzato questi programmi con l’obiettivo di limitare la perdita di posti di lavoro, evitare la dispersione del capitale umano a livello di impresa e sostenere la domanda aggregata in una fase di sostanziale recessione economica”.
Tuttavia, come sostiene la Commissione, “un calo limitato del tasso di occupazione complessivo nasconde grandi differenze tra gli Stati membri”. La situazione complessiva non cambia in modo significativo rispetto agli anni precedenti nei Paesi più problematici da un punto di vista di occupazione, con Grecia, Italia e Spagna ancora contrassegnate come “situazioni critiche”. Il tasso di occupati in Italia è pari al 62 per cento, meno di due italiani su tre (la migliore, la Svezia, si attesta a 81 punti percentuali): peggio di noi solo la Grecia al 60 per cento. Per quanto riguarda la disoccupazione poi, nonostante si sia registrato il calo maggiore su tutto il territorio dell’Unione (-2,1 per cento rispetto a un anno fa), non bisogna dimenticare che il tasso complessivo è uno dei peggiori del continente: l’8 per cento sul totale della popolazione in età da lavoro. Da non sottovalutare inoltre il fatto che “alcuni Stati membri presentano notevoli disparità regionali nei tassi di occupazione”. Non viene citata l’Italia in modo esplicito, ma rimane tra le righe il fatto che la situazione nel Paese è sotto sorveglianza, considerato il fatto che le regioni del Sud Italia presentano le criticità maggiori di tutto il territorio UE (dati Eurostat) e che la crisi Covid-19 ha peggiorato i problemi strutturali del mercato del lavoro italiano.
Occupazione giovanile e gender gap
Tra i problemi maggiori dell’Italia, il dato più preoccupante si registra senza ombra di dubbio sul fronte dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni che non cercano un lavoro e non sono impegnati in programmi di istruzione e formazione. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, il secondo trimestre del 2020 registra un incremento di 3 punti percentuali, portando il rapporto tra popolazione totale compresa tra 15 e 24 anni e “Neet” dal 18 al 21 per cento. Significa che oggi più di un giovane su cinque in questa fascia d’età è disoccupato o inattivo: la più alta percentuale su tutto il territorio dell’Unione. Solo tre Paesi hanno mostrato un incremento maggiore (Irlanda, Austria e Spagna), ma rimangono tutti staccati nel conteggio complessivo di “Neet” rispetto all’Italia (l’Austria anche sotto la media europea, che è cresciuta all’11,6 per cento).
Altro problema strutturale dell’Italia è quello legato al divario tra occupazione maschile e femminile (gender gap), già presente anche negli scorsi anni – come sottolineato dalla relazione – ma peggiorato con lo scoppio della crisi legata al Covid-19. Un sostanziale peggioramento rispetto allo stesso arco temporale del 2019 è stato registrato in Polonia, Ungheria, Cipro, Repubblica Ceca, Malta e Italia. Ma è proprio quest’ultima a guidare la classifica generale, con un divario di genere aggiornato ora a 19,9 punti percentuali. Ancora una volta, il più alto di tutta l’Unione. L’Italia è appena davanti a Malta (19,7 per cento), Grecia (18,9) e Romania (18,4): tutti Paesi definiti “situazioni critiche” nel quadro di valutazione sociale.