Bruxelles – Un piccolo lumicino si sta iniziando a intravedere in fondo al tunnel. Secondo alcune fonti di Bloomberg, l’Unione Europea e il Regno Unito sarebbero vicine a concludere un accordo sulle future relazioni post-Brexit. Le due parti sembrano essersi avvicinate sempre di più negli ultimi giorni sui punti critici: pesca nelle acque britanniche, level playing field (insieme di regole e standard comuni che evitano un vantaggio competitivo delle imprese di un Paese rispetto a quelle che operano in altri) e governance (intesa sulla gestione dell’Accordo di recesso ed eventuali relazioni future). Nonostante sia ormai fuori discussione la possibilità di strappare un accordo prima del Consiglio UE di domani, i colloqui continueranno a spron battuto per tutta questa settimana a Bruxelles e i rispettivi funzionari starebbero pianificando la possibilità di annunciare una svolta già lunedì prossimo (23 novembre), quando i capi-negoziatori Michel Barnier e David Frost ritorneranno a Londra per una nuova sessione di colloqui.
“Siamo alla spinta finale per trovare un accordo” col Regno Unito. “Ci sono ancora elementi importanti da risolvere, e lavoro sostanziale da fare”. Così il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, dopo l’aggiornamento odierno del capo negoziatore della Ue, Michel Barnier, al collegio dei commissari. “Abbiamo visto molte scadenze andare e venire – ha detto Dombrovskis – ma ce n’è una che non possiamo spostare, quella del primo gennaio 2021. Quindi siamo negli ultimi momenti” per trovare un’intesa sulle relazioni future.
Date le notizie positive, bisogna rimanere estremamente realisti. Le stesse fonti hanno comunque avvertito che è tutt’altro che scomparsa la possibilità che i negoziati falliscano, sempre per i motivi di cui sopra. Da inizio marzo non ci sono stati grandi passi avanti nei negoziati e ora – a 43 giorni dalla fine del periodo di transizione del 31 dicembre – per ottenere un accordo è più che mai necessario che il Regno Unito si assuma responsabilità politiche riguardo alla disponibilità di scendere a compromessi. Ancora ieri il premier britannico, Boris Johnson, in una riunione con i suoi ministri ha ribadito che “non è affatto certo che si rivelerà possibile arrivare a un accordo, il tempo ora è molto poco”. Ripetendo poi il refrain che ci siamo abituati a sentire da quando ha iniziato a lavorare sul disegno di legge per il Mercato interno: “Il Regno Unito desidera ottenere un accordo con l’Unione Europea, ma non a scapito dei nostri principi fondamentali sulla sovranità e sul controllo delle nostre leggi, dei confini, del denaro e del nostro pesce”. All’orizzonte potrebbe esserci una nuova telefonata (venerdì o sabato, ancora da confermare) con la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, per provare a raggiungere un accordo sul filo di lana.
Colloqui intensi
Il portavoce della Commissione Europea, Eric Mamer, ha confermato ai giornalisti che “siamo impegnati a negoziare intensamente con i nostri partner britannici e miriamo a trovare un accordo quando ci saranno le condizioni”. Il portavoce ha poi precisato di non poter dare tempi certi per l’eventuale accordo: “Non possiamo ancora fornire un resoconto dettagliato di ciò a cui stanno lavorando i negoziatori”. Barnier dovrebbe comunque aggiornare i Ventisette questo venerdì sui progressi delle ultime due settimane di colloqui con la controparte. Una data-chiave è quella del Consiglio UE di dicembre (giovedì 10 e venerdì 11): se entro quell’appuntamento non sarà stata firmata nessuna intesa, inizieranno presumibilmente i preparativi per l’uscita disordinata della Gran Bretagna dal Mercato Unico Europeo.
Secondo il primo ministro irlandese, Micheál Martin, intervenuto ieri al Bloomberg New Economy Forum, le squadre negoziali hanno ormai chiare le “zone di atterraggio sicuro” per concludere un compromesso. “Non riuscire a raggiungere un accordo sarebbe politicamente dannoso in tutto e per tutto”, ha attaccato il premier irlandese. “La decisione finale deve essere presa a Londra”. Il problema riguardo ai negoziati, tuttavia, potrebbe non essere più se ci sarà o meno un accordo, né tantomeno avere in mente zone di atterraggio (che già sono note da almeno un mese), ma la qualità dell’accordo stesso e tutte le implicazioni che avrà sul futuro delle relazioni tra le due parti. In qualsiasi caso, l’impatto sui cittadini – soprattutto britannici – rischia di essere inevitabilmente molto duro.
"Europe does want a deal… because it's the sensible thing to do"
Irish Taoiseach Micheál Martin tells @BBCLaurak a no-deal Brexit is "the last thing we need now" adding it would be "ruinous" for the UK to lose access to the single markethttps://t.co/LB4uZR5CAN pic.twitter.com/7LR6V9COxc
— BBC Politics (@BBCPolitics) November 12, 2020
Brexiters all’angolo
Non è una coincidenza se proprio in questi giorni a livello interno l’hard Brexit stia ricevendo picconate su più fronti. La più pesante è arrivata dai leader delle forze dell’ordine: in una lettera indirizzata ai parlamentari britannici, Steve Rodhouse, capo dell’Agenzia nazionale per il crimine (NCA), ha messo nero su bianco che “la potenziale perdita di accesso a Europol in caso di no deal è l’aspetto di cui siamo più preoccupati, per la lotta alla criminalità organizzata”. Nonostante la questione della cooperazione giudiziaria e di polizia trans-frontaliera non sia un punto critico nei negoziati UE-Regno Unito, un accordo su questo tema non è ancora stato trovato e rischia di essere un aspetto tangibile di criticità fra poco meno di un mese e mezzo.
Se il Regno Unito fosse escluso da Europol (organo che permette la collaborazione tra investigatori e forze dell’ordine sul continente), “la National Crime Agency dovrebbe trasferire diverse centinaia di indagini in corso su accordi individuali con specifiche forze di polizia”. Il problema è che “il coordinamento multilaterale e i servizi analitici specialistici offerti da Europol non possono essere replicati attraverso canali bilaterali“, ha avvertito Rodhouse. “Lo scambio di informazioni sarà più lento, più laborioso e le opportunità di identificare nuovi contatti di intelligence potrebbero essere ridotte senza l’accesso ai dati estesi detenuti da Europol”. In caso di no deal, il 1° gennaio 2021 il Regno Unito sarà automaticamente rimosso dal sistema d’informazione Schengen (SIS II): si tratta di un database automatizzato che condivide istantaneamente gli allarmi della polizia oltre i confini, senza che le singole forze debbano contattare attivamente le loro controparti in altri Paesi. Un portavoce del governo Johnson ha sinteticamente risposto che “nel caso in cui non sia possibile raggiungere un accordo, abbiamo già piani ben sviluppati”.
Ma anche tra i cittadini serpeggia sempre meno ottimismo nei confronti di Downing Street e delle sue modalità di gestione dei negoziati. Al punto che uno studio del Pew Research Center ha rilevato che il livello di giudizio positivo sull’Unione Europea nel Regno Unito è tra i più alti mai registrati: il 60 per cento degli intervistati ha affermato di avere ora una visione favorevole, un aumento di sei punti percentuali rispetto allo scorso anno. Per giunta, nel Regno Unito la fiducia nei confronti del premier Johnson si è fermata al 51 per cento, ben inferiore sia a quella nutrita verso il presidente francese, Emmanuel Macron (64 per cento), sia a quella nei confronti della cancelliera tedesca, Angela Merkel (76 per cento). Se tutto questo avrà un impatto decisivo sul riavvicinamento del governo britannico all’Unione Europea per la ricerca del fatidico compromesso, lo scopriremo – ci si augura – entro lunedì prossimo.