Bruxelles – Tutti contro Polonia e Ungheria. Lo scontro sul veto posto ieri da Varsavia e Budapest sul progetto di bilancio pluriennale UE 2021-2027 si è consumato oggi (martedì 17 novembre) al Consiglio Affari Generali: da una parte il blocco dei ‘Ventisette meno due’, che ha richiamato alla responsabilità per l’approvazione il prima possibile del Quadro finanziario pluriennale (QFP) e del Recovery Fund. Dall’altra, l’asse polacco-magiaro, che si è opposto alla condizionalità sullo Stato di diritto per l’erogazione dei fondi, appellandosi a non meglio definiti “giochini ideologici” da parte dell’UE. Al centro l’arbitro, il ministro tedesco per gli Affari europei e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Michael Roth, che ha mostrato di non tollerare più slittamenti sulla tabella di marcia: “Se non si arriva a un’intesa, saranno i cittadini a pagarne il prezzo”, ha affermato seccamente davanti ai ministri per gli Affari europei. “Il compromesso deve ora ricevere il sì da chi ancora tentenna”.
Tutti d’accordo sull’accordo preliminare trovato da Consiglio e Parlamento UE, almeno a livello finanziario. Oltre quello, il buio: “Nulla è concordato, finché non siamo d’accordo su tutto” è la cantilena che ripetono Polonia e Ungheria e che indispettisce le controparti. Lo esprime chiaramente il ministro per gli Affari Europei italiano, Enzo Amendola: “Dal senso di vittoria che condividevamo per la reazione di fronte al Covid-19 e alla crisi socio-economica, oggi rimane un profondo senso di frustrazione”, ha affermato. “Vedo una contraddizione che sta minando la credibilità dell’Unione: come si fa a temere la condizionalità sullo Stato di diritto, se tutti dicono di rispettarlo? I nostri cittadini non capiranno e non tollereranno ulteriori ritardi”. Perfettamente allineati alla posizione italiana Spagna e Danimarca (“il meccanismo dello Stato di diritto è una parte integrante dell’accordo di luglio“), con l’Austria che “deplora il non essere ancora riusciti ad arrivare all’unanimità, in mezzo a una crisi che ha scosso tutte le nostre economie”. Più dura ancora la futura presidente del Consiglio dell’UE di turno nel prossimo semestre, la ministra portoghese Ana Paula Zacarias: “Siamo sull’orlo di un disastro economico e sociale. Non è il momento di mercanteggiare, ma di mostrare unità per ridurre al minimo le conseguenze”.
Dall’altra parte della barricata Polonia e Ungheria, arroccate a difendere la propria posizione intransigente. La ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga, ha sostenuto che “l’accordo Consiglio-Parlamento UE sulla condizionalità dello Stato di diritto aggira i trattati e non corrisponde alle conclusioni di luglio”. In questo momento l’Ungheria non può appoggiare il pacchetto, perché “si tratta di creare sofferenza ad alcuni Stati membri”, secondo la ministra ungherese. “Considerata la parzialità con cui verrebbero applicate le condizionalità, si offre la possibilità di sanzionare o pressare politicamente un Paese su base ideologica”. Ha rincarato la dose il ministro per gli Affari europei, Konrad Szymański: “Quello di luglio è un accordo molto fragile. La condizionalità sullo Stato di diritto di per sé non è un problema”, ha voluto precisare. “Ma il problema è la mancanza di certezza giuridica per tutti gli Stati membri. Nessuno si deve sorprendere dagli sviluppi di ieri”.
Il richiamo delle istituzioni
Il punto centrale rimane ora come uscire dall’impasse. “L’Europa si basa su democrazia e regole comuni, tra cui lo Stato di diritto”, ha affermato il ministro tedesco Roth. “Non è una questione ideologica, sono regole obbligatorie per tutti. È inaccettabile che l’UE possa essere paragonata a qualche regime autoritario”. Richiamando al senso di responsabilità delle istituzioni, Roth ha chiesto che “siano prese rapidamente le necessarie decisioni e si arrivi al sostegno unanime richiesto“. E infine ha promesso che la presidenza tedesca lavorerà intensamente per arrivare a un risultato positivo: “Non possiamo permetterci ritardi, questa è una triste realtà politica”.
Da parte della Commissione ha parlato il commissario europeo per il Bilancio, Johannes Hahn: “Sono rammaricato che ieri gli Stati membri non abbiano trovato un consenso unanime. Sulle condizionalità, voglio ribadire che ci basiamo su elementi fattuali e non facciamo differenze tra Stati membri”. Se “il tempo a disposizione è poco”, l’UE non può perdere “neppure un giorno”, ha sostenuto Hahn: “Da due anni abbiamo portato avanti un lavoro di valutazione sullo Stato di diritto in ogni Paese membro”. Ha sostenuto questa posizione anche il vicepresidente per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič: “La Commissione garantisce obiettività e standard elevati. Si tratta di rispettare regole europee accettate da tutti quando si è entrati nell’Unione”.
Il fronte della responsabilità
Prima della videoconferenza, il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, aveva confessato di nutrire preoccupazioni sull’accordo in Consiglio UE: “Resto però fiducioso che questi veti saranno superati. In fondo Polonia e Ungheria sono tra i Paesi più colpiti dalla seconda ondata e sono fra i massimi beneficiari sia del bilancio pluriennale che del Next Generation Eu”, ha aggiunto.
Anche nel Parlamento UE è ampio il fronte di chi richiama a più miti consigli i due governi. “Siamo certi che le istituzioni europee non cederanno al ricatto vergognoso dei governi di estrema destra di Polonia e Ungheria”, ha commentato l’italiana Laura Ferrara (Movimento 5 Stelle). “I nuovi meccanismi su cui è stato trovato un accordo fra Consiglio e Parlamento Europeo servono proprio per tutelare tutti i cittadini europei, polacchi e ungheresi in primis”, perciò “o rimuovono il veto che hanno posto ieri, altrimenti invitiamo il Consiglio UE a trovare una soluzione per rendere operativo il prima possibile il Recovery Fund”, ha aggiunto. Parlano invece di “prendere in ostaggio il bilancio dell’Unione” i co-presidenti del Partito dei Verdi Europei, Thomas Waitz ed Evelyne Huytebroeck: “Bloccando il Recovery Fund, impediscono a miliardi di euro di raggiungere rapidamente i cittadini bisognosi”. In altre parole, “i due governi sono disposti a scambiare vite per potere e mancanza di responsabilità”, hanno concluso duramente.
In un’intervista per La Stampa, la presidente della commissione Affari economici del Parlamento Europeo, Irene Tinagli, si è detta “dispiaciuta e delusa” per il muro dei due Paesi dell’Europa orientale. “Spero che la partita non sia chiusa: Polonia e Ungheria devono rendersi conto che più che un dispetto all’Europa fanno un danno ai loro cittadini che sono tra i principali beneficiari dei fondi UE”, ha aggiunto. Più caustico il presidente del Comitato europeo delle regioni, Apostolos Tzitzikostas: “Le regioni e le città europee sono molto preoccupate dal rischio che un veto rallenti gli investimenti del bilancio UE e del Next Generation Eu, che sono vitali per i cittadini e le imprese”, ha fatto sapere su Twitter. “Non è il momento per piani A, B o C. Abbiamo tutti bisogno di un solo piano comune: aiutare adesso le persone e le comunità locali che stanno lottando contro la pandemia”.
EU regions&cities are deeply concerned about the risk that a veto slows down #EUbudget & #NextGenerationEU vital investment for citizens&businesses. It is not time for plans A,B,C. We all need a common, single plan:to help now people&local communities struggling with the pandemic pic.twitter.com/4kVUb0EVAQ
— Vasco Alves Cordeiro (@CoR_President) November 17, 2020