Bruxelles – Si alza un muro sul processo di allargamento dell’Unione Europea nei Balcani occidentali. Da mesi la Commissione sta insistendo sulla necessità di estendere la propria area di influenza nella regione, promettendo un’accelerazione sui negoziati con i singoli Paesi e indirizzando la loro convergenza economica con l’UE attraverso un Piano economico e di investimenti che nei prossimi 10 anni mobiliterà fino a 29 miliardi di euro. Macedonia del Nord e Albania sono i prossimi candidati a diventare Stati membri UE, come a più riprese evidenziato dal commissario europeo per la Politica di vicinato e di allargamento, Olivér Várhelyi: entro la fine dell’anno dovrebbero essere approvati i quadri negoziali per l’adesione proposti al Consiglio UE, prima di avviare la prima conferenza intergovernativa.
Sul più bello la Bulgaria ha tuttavia deciso di mettersi di traverso, lasciando intendere che il processo di adesione della Macedonia del Nord sarà tutt’altro che agevole e che difficilmente i tempi stabiliti dalla Commissione saranno rispettati. Un danno per l’immagine dei Ventisette nella regione balcanica che solo nelle prossime settimane potrà essere quantificato. “Incoraggiamo le parti a trovare una soluzione“, ha fatto sapere una portavoce della Commissione Europea. “Bisogna arrivare quanto prima a una soluzione per arrivare presto a un accordo sui quadri negoziali, siamo in contatto con entrambi i governi”. Solo cinque giorni fa il premier bulgaro, Boyko Borissov, e il presidente macedone, Zoran Zaev, avevano co-presieduto il summit di Sofia per il futuro dell’allargamento dell’UE nei Balcani occidentali.
Il braccio di ferro
Da inizio settembre la Bulgaria sta portando avanti una lotta contro la Macedonia del Nord su rivendicazioni storico-culturali che spaziano dai padri fondatori delle due nazioni alla lingua in uso. In breve, entrambi i Paesi sostengono di essere eredi esclusivi di alcuni personaggi storici, tra cui Goce Delčev, patriota che ha dato il via all’insurrezione balcanica anti-Ottomani nel 1903. Inoltre, secondo il governo di Sofia la lingua macedone altro non è che un dialetto del bulgaro. Questioni di secondaria importanza di fronte a più ampie questioni di carattere politico ed economico, si potrebbe pensare. Non se in gioco ci sono forti sentimenti nazionalistici e ancora più profonde questioni di potere e di influenza nella regione.
“Sofia si oppone all’avvio dei negoziati con la Macedonia del Nord, perché la loro intera politica statale è basata sull’odio verso la Bulgaria e il suo popolo: non c’è modo di dire sì al momento”, ha affermato ieri (domenica 15 novembre) la ministra degli Esteri bulgara, Ekaterina Zaharieva. La ministra ha risposto duramente alle voci critiche sul fatto che il blocco della Bulgaria per i negoziati di adesione all’UE della Macedonia del Nord favorirebbe gli interessi di Russia e Cina nei Balcani occidentali: “Se continuiamo a chiudere gli occhi sul fatto che l’ideologia di Skopje è fondata e sviluppata nel modo in cui è stata concepita da Tito e Stalin, stiamo facendo il gioco di Mosca“, ha continuato. Sibillina la puntualizzazione sul futuro del negoziati: “Continueremo a dare una mano, ma il nostro sostegno all’adesione non è incondizionato”, ha concluso la ministra bulgara. “Ci opponiamo all’inizio dei negoziati, ma non all’adesione della Macedonia del Nord all’Unione Europea“. Uno spazio di manovra ci sarebbe, ma alle condizioni del governo di Sofia.
Uno strumento di potere
Non è un gioco nuovo per la Macedonia del Nord del premier Zoran Zaev quello che sta assistendo con la Bulgaria. Solo nel 2018 un altro Stato membro dell’UE, la Grecia, ha sbloccato la sua posizione intransigente nei confronti del Paese vicino (facendo cadere l’anno seguente il veto al suo ingresso nella NATO), ma costringendolo a un compromesso sul cambio di nome: da Repubblica di Macedonia a Macedonia del Nord, risolvendo così un contenzioso decennale con le regioni settentrionali della Grecia. Ora è il turno della Bulgaria nel cercare di sfruttare la posizione di debolezza della Macedonia del Nord, che da 15 anni aspetta che la sua candidatura a Stato membro UE venga accettata (lo status di Paese candidato è stato ottenuto il 17 dicembre 2005). Il processo di allargamento sembra essere diventato uno strumento in mano ai membri dell’Unione per spingere politiche e cambiamenti sui loro vicini non-comunitari. Il governo di Sofia ha deciso ora di sfruttarlo, cercando di estorcere concessioni a Skopje in un momento estremamente delicato per la sua politica recente.
Bisogna anche rilevare il fatto che le rivendicazioni – padri fondatori e lingua – riflettono la necessità del governo bulgaro di adottare un forte atteggiamento nazionalista soprattutto per ragioni politiche interne, per cercare a sua volta di non finire sotto l’attenzione di Bruxelles. Da 130 giorni consecutivi (dal 9 luglio scorso) un’ondata di proteste ha investito il governo del conservatore Boyko Borissov, accusato insieme al procuratore generale Ivan Ghescev di corruzione e collusioni con la mafia oligarchica bulgara. Borissov si è rifiutato di dimettersi ed è sopravvissuto a cinque voti di sfiducia in Parlamento. La sua posizione non è completamente stabile, soprattutto se le istituzioni europee decidessero di intervenire a sostegno dei manifestanti. Il governo bulgaro ha bisogno di un’altra arma da giocarsi non solo contro Skopje, ma anche contro la stessa Bruxelles: considerati gli sforzi degli ultimi mesi da parte della Commissione nella regione balcanica, è chiaro che Borissov sta toccando un nervo scoperto. Il rischio è che, in caso di un ulteriore slittamento dei negoziati in Macedonia del Nord, la credibilità dell’Unione agli occhi degli interlocutori balcanici ne esca così compromessa da travolgere anche la stessa Bulgaria.