Bruxelles – Da burattinaio consumato qual è, il premier britannico Boris Johnson sta cercando di muovere i fili dell’accordo post-Brexit da dietro le quinte, senza esporsi eccessivamente. A 48 giorni alla fine del periodo di transizione, sembra regnare il caos a Downing Street, dopo le dimissioni (forzate) di due dei più intransigenti sostenitori della linea dura del Leave nel gabinetto Johnson. Ieri è toccato a Lee Cain, direttore della comunicazione del governo, mentre questa sera – secondo le indiscrezioni della BBC – è stato silurato Dominic Cummings, consigliere speciale del premier e guru pro-Brexit al referendum 2016. Sfruttando una guerra del tutti contro tutti, BoJo ci potrebbe sguazzare, per arrivare a un accordo con l’UE più morbido di quanto promesso e soprattutto senza fare troppo rumore.
Come da copione, oggi da Londra è arrivato oggi un secco no comment sull’anticipazione dell’allontanamento di Cummings dallo staff del premier: la notizia è che, se non è stato confermato, allo stesso tempo niente è stato smentito. L’unica ipotesi contrastata con fermezza dal portavoce del governo è proprio quella secondo cui le (future) dimissioni del consigliere di Johnson possano far presagire un ammorbidimento della linea negoziale nelle trattative con l’UE, per evitare un no deal. “Questa ipotesi è semplicemente falsa. La posizione del governo sulle condizioni di un futuro accordo di libero scambio è assolutamente immutata“, ha commentato il portavoce. Ma, dopo mesi di cambi di bandiera, se c’è una cosa che gli europei hanno imparato è che ha più importanza ciò che succede dietro – e non davanti – alla porta di Downing Street, n. 10.
Dimissioni annunciate
Se si vuole lasciare il beneficio del dubbio, i fatti dicono che nella serata di mercoledì (11 novembre) Cain, ex-giornalista e veterano della campagna Vote Leave del 2016, si è dimesso da capo dell’ufficio stampa, dopo aver “rinunciato” alla promozione a capo di gabinetto. Qui partono le indiscrezioni: la stampa inglese riporta che avrebbe inviato una lettera a Johnson per evitare polemiche pubbliche, visto che proprio sul capo della comunicazione aleggia il sospetto che sia la gola profonda dei piani del governo britannico per il secondo lockdown. Niente a che fare con la Brexit, apparentemente. Se non fosse che Cain era considerato molto vicino al super-consigliere brexiteer Cummings e avversato dall’ambiziosa fidanzata e futura terza moglie di Johnson, Carrie Symonds (ex-addetta stampa del Partito Conservatore). Una guerra tra fazioni, in cui la componente di potere si aggancia con quella delle trattative post-divorzio dall’UE.
Nemmeno 24 ore dopo è toccato proprio a Cummings entrare nell’occhio del ciclone. Una fonte della BBC ben introdotta nella struttura di potere di Johnson ha rivelato che “Dominic salterà fuori da Downing Street prima di essere costretto a farlo“, nonostante lo stesso consigliere del premier avesse smentito alla political editor di BBC, Laura Kuenssberg, come “inventate” le voci di dimissioni in risposta a quelle di Cain. Secondo le indiscrezioni, Cummings sarebbe entrato in rotta di collisione ancora una volta con Symonds: entrambi erano interessati a esercitare più influenza sul premier in questa fase. Sembra abbastanza scontato che uno degli argomenti più caldi sul tavolo sia proprio la questione Brexit. In questo caso, il mutato atteggiamento del premier giustificherebbe la scelta: stando ai molti informatori dei quotidiani britannici, BoJo si sarebbe convinto di non poter ricavare altro che danni dall’atteggiamento divisivo di Cummings, a un mese e mezzo dalla fine del periodo di transizione.
Premier all’angolo
Un colpo duro alla linea intransigente del premier negli ultimi due mesi è stata sicuramente l’elezione del nuovo presidente statunitense, Joe Biden. Il 46esimo presidente statunitense ha origini irlandesi ed è particolarmente sensibile alla possibile violazione dell’Accordo di pace del 1998 (che aveva sancito la fine del conflitto nell’isola). Da domenica Johnson – definito “clone fisico ed emotivo di Donald Trump” dallo stesso Biden – ha perso un importante alleato a Washington per possibili azioni avventate. Per di più, lunedì è stata bocciata dalla Camera dei Lord la clausola 142 del controverso disegno di legge sul Mercato interno, con cui Londra sta cercando di superare l’Accordo di recesso con l’UE e portare subito con sé l’Irlanda del Nord al di fuori dall’Unione doganale, contrariamente a quanto concordato con la controparte.
Intervenuto a un incontro organizzato oggi dall’European Policy Centre, John Kerr, membro della Camera dei Lord e già ambasciatore britannico presso l’UE e gli Stati Uniti, ha sostenuto con preoccupazione che “si può aprire una crisi istituzionale a partire dall’Internal Market Bill” e che “la Camera alta è veramente scioccata dalla possibile violazione dello Stato di diritto, come dimostra il voto di una delle più larghe maggioranze degli ultimi decenni”. Secondo alcuni tabloid, le frange più sensibili alle istanze del Remain nel gabinetto Johnson starebbero cercando di spingere per cercare di prolungare di un anno il periodo di transizione. Possibilità esclusa categoricamente dallo stesso Kerr: “Legalmente è impossibile, quindi adesso va trovata una soluzione di compromesso. È l’ora della verità”. Analizzando la gestione delle relazioni UE-Regno Unito, l’ex-ambasciatore ha fatto notare che “c’è sempre stata l’idea nel Regno Unito che se fossimo rimasti uniti e forti fino alla fine, l’Unione Europea avrebbe ceduto”. Come dimostrato dalla risposta di tutte le istituzioni europee, “è evidente che il governo britannico non aveva la minima idea di come l’UE si sarebbe posta” e ora “Barnier sa perfettamente cos’ha Johnson in mano e su cosa può forzare”.
Se dietro alle quinte Johnson sembra aver iniziato a muoversi con più cautela, sul palcoscenico mediatico ripete ancora le parole di sempre: “Stiamo realizzando la volontà del popolo britannico, ponendo fine alla libera circolazione e introducendo un sistema di immigrazione equo basato su punti”, ha dichiarato alla Camera dei Comuni lo scorso mercoledì, durante la sessione di interrogazioni dei deputati al primo ministro. All’orgoglio brexiteer Johnson non intende rinunciare. Sono solo le modalità a essere messe ora in discussione.
https://twitter.com/BorisJohnson/status/1326512187544842246?s=20
Il fronte delle trattative
Per interpretare questa (forse ultima) fase di trattative tra Regno Unito e Unione Europea, bisogna continuare a considerare i fatti: tra una dimissione arrivata e una pre-annunciata, due dei più rigidi difensori dell’hard Brexit saranno fuori dal gabinetto Johnson. Che questo porti davvero a un effettivo ammorbidimento delle posizioni britanniche su level playing field, pesca e governance – dove ancora ci sono grossi attriti con l’UE – è tutto da vedere nei prossimi giorni. Michael Gove, cancelliere del Ducato di Lancaster e braccio destro del premier Johnson, ha dichiarato che “serve pazienza”, perché “solo ora l’UE sta iniziando a capire le nostre posizioni“. La Commissione Europea fa invece sapere che i negoziati in corso a Londra “proseguiranno la prossima settimana a Bruxelles”.
Lo scorso lunedì la delegazione UE guidata dal capo-negoziatore, Michel Barnier, si è data tempo fino al prossimo mercoledì (18 novembre) per tentare di strappare un accordo prima del Consiglio Europeo del 19 novembre. Prospettiva che sembra poco probabile anche nelle più rosee aspettative del capo-negoziatore, che ieri su Twitter ha pubblicato una foto – tra l’ironico e il sibillino – mentre guarda un campo di calcio: “Breve pausa dalle intense trattative UE-Regno Unito a Londra”, ha scritto a corredo. “Sono andato alla ricerca del level playing field…”
https://twitter.com/MichelBarnier/status/1326909858034163712?s=20