Bruxelles – A pochi giorni dalla sua nomina, il nuovo vicepresidente con delega alla comunicazione del Comitato economico e Sociale (CESE), Cillian Lohan, lancia già la sfida a se stesso e tutte le istituzioni europee: cambiare modo di parlare ai cittadini, per non soccombere. Esattamente una settimana fa (mercoledì 28 ottobre) veniva inaugurato il nuovo mandato 2020/2023 del CESE, con l’elezione della nuova presidente Christa Schweng, quello del gruppo Datori di lavoro, Stefano Mallia, dei lavoratori Oliver Röpke, e del gruppo società civile Séamus Boland, oltre alla vicepresidente con delega al bilancio, Giulia Barbucci. In un’intervista per Eunews nel giorno del suo insediamento, proprio quest’ultima avvertiva che sulla questione Brexit “si sta continuando a scherzare con il fuoco”.
Oggi è Lohan – sensibile alla tematica anche per ragioni biografiche, in quanto irlandese – ad avvertire sui rischi che l’Unione Europea sta correndo anche dopo la separazione del Regno Unito. “Sul malcontento dei cittadini alcuni governi utilizzano Bruxelles come scusa per provvedimenti impopolari o per mistificare la realtà”. Con il rischio di altri divorzi.
Eunews: Vicepresidente, su cosa si focalizzerà questo nuovo mandato del Comitato?
Lohan: “Abbiamo due priorità. La prima è legata alle proposte legislative della Commissione, soprattutto al lavoro che dovremo affrontare sul Green New Deal. Economia circolare, sviluppo sostenibile e misure per il clima penso siano i temi più rilevanti su cui orienteremo la nostra azione politica”.
E: E la seconda priorità?
L: “La comunicazione. Il Comitato è come una specie di gigante addormentato, ha un grande potenziale per connettersi alle comunità per spiegare ciò che sta accadendo nell’Unione Europea. Ma sono proprio tutte le istituzioni europee che devono riuscire a comunicare l’importanza del lavoro che fanno fuori dalla ‘bolla di Bruxelles'”.
E: Cosa non la convince?
L: “La lingua che parliamo, la terminologia che usiamo. Lo sperimento io stesso quando ritorno in Irlanda dopo qualche settimana di lavoro a Bruxelles. I cittadini spesso non comprendono il senso del nostro lavoro, e questo perché non ci preoccupiamo di spiegarlo in un modo più ‘rilassato’. È così che, mentre noi cerchiamo di bilanciare regolamenti comuni a tutta l’Unione per riconoscere e risolvere problemi prima che si presentino, veniamo invece percepiti come troppo burocratici o addirittura quasi dittatoriali”.
E: Un esempio?
L: “Il caso della Brexit. Tanti cittadini britannici hanno votato a favore perché non si riconoscevano più nelle istituzioni europee, le percepivano ormai troppo disconnesse dalla loro realtà. È un grosso problema, che però ora riguarda tutti gli Stati membri”.
E: Vede altri rischi simili all’orizzonte?
L: “Non concretamente, al momento. Ma il pericolo in futuro c’è. Molti governi nazionali si fanno ancora forti di uno schema secondo cui l’Unione imporrebbe decisioni agli Stati membri e ai suoi cittadini attraverso il Consiglio Europeo. È importante rispondere con una strategia comunicativa che metta in luce il nostro processo decisionale democratico, la trasparenza e l’importanza degli input dal basso”.
E: Facciamo un passo indietro e torniamo alla questione Brexit.
L: “Abbiamo ancora legami e un dialogo intenso con il Regno Unito. L’ambizione è certamente quella di mantenere un’alleanza più stretta possibile. Certo, mancano meno di due mesi alla fine del periodo di transizione e non abbiamo ancora una nuova struttura definita”.
E: Quale sarebbe l’impatto economico di un eventuale no deal?
L: “Con il no deal si creerebbero difficoltà enormi da superare per ogni Stato membro, chi più chi meno. A livello di produzione e di commercio, l’impatto negativo è difficilmente quantificabile perché andrebbe a scatenare un effetto a catena su tutte le economie nazionali. Detto questo, molte aziende e la stessa Unione Europea si stanno preparando anche a questa eventualità: abbiamo visto quanto siano difficili, a volte senza senso, i negoziati”.
E: Uno dei punti più critici riguarda il confine irlandese.
L: “Questa è probabilmente la questione più controversa. Improvvisamente si verrebbe a creare un confine politico tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, con controlli di frontiera e strutture fisiche. Un’alternativa potrebbe essere quella di fare controlli nei porti e negli aeroporti, come quelli sanitari per i prodotti agricoli che già sono in atto. A mio avviso è questa l’unica soluzione che permetterebbe di preservare l’Accordo del Venerdì Santo e la pace nell’isola d’Irlanda”.
E: E per quanto riguarda il Mercato Comune?
L: “In caso di no deal sarà dura, ma dovremo essere resilienti e sostenerci a vicenda. Dovrà essere rafforzato puntando sulla creazione di nuovi modelli economici, come quello incentrato sull’economia circolare, come dicevo prima. Porterà grandi opportunità di rigenerazione industriale e del modo in cui gestiamo la nostra economia, benefici ambientali e nuovi posti di lavoro in ogni angolo dell’Unione. Questo modello dimostrerà a tutti gli Stati membri quanto sia prezioso rimanere parte del progetto chiamato Unione Europea”.