Bruxelles – Salario minimo europeo, avanti come prima o quasi. La proposta della Commissione europea non poteva segnare una nuova pagina, poiché le politiche per il lavoro e l’occupazione sono e restano competenza degli Stati membri. Per questo la tanta attesa proposta di direttiva del team von der Leyen si limita a fissare criteri omogenei per quei Paesi che già prevedono al proprio interno salari minimi. Ma per quei sei Paesi che non lo prevedono (Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) tutto continuerà a seconda della regulation o deregulation interna.
Non c’è alcun obbligo. La proposta non mira ad armonizzare il livello dei salari minimi in tutta l’UE, né a stabilire un meccanismo uniforme per la fissazione dei salari minimi negli Stati membri. La tutela del salario minimo continuerà ad essere fornita attraverso contratti collettivi o disposizioni legali, secondo le tradizioni nazionali e nel pieno rispetto delle competenze nazionali e dell’autonomia delle parti sociali.
La proposta di direttiva è già bersaglio di critiche prima ancora che la Commissione la renda pubblica. Il gruppo dei Verdi europei in Parlamento europeo anticipa la conferenza stampa del vicepresidente Valdis Dombrovskis con una nota ufficiale in cui censura l’iniziativa. “Non è all’altezza della sua proclamata ambizione di combattere la povertà e la disuguaglianza”, lamenta Mounir Satouri, membro della commissione Lavoro. “Allo stato attuale, i lavoratori potranno ancora lavorare legalmente per 2 euro l’ora! In altre parole, le misure previste sono ben lontane dal porre fine alla concorrenza tra lavoratori o dall’affrontare il problema dei lavoratori poveri”.
Brando Benifei, capodelegazione PD al Parlamento Europeo, ed Elisabetta Gualmini, eurodeputata PD in commissione Occupazione, commentano invece favorevolmente la proposta. “La direttiva fornisce un quadro europeo organico per assicurare adeguati livelli salariali minimi, rafforzando al contempo la contrattazione collettiva, un punto su cui come gruppo S&D abbiamo insistito molto”, commenta Gualmini. Benifei sottolinea come la direttiva fosse ormai “necessaria” dato che “negli ultimi anni in UE sono aumentate le categorie di lavoratori che non beneficiano dei minimi stabiliti per legge o dai contratti collettivi, con gravi effetti sulla vita di migliaia di lavoratrici e lavoratori”.
Ha delle riserve Daniela Rondinelli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle: “Nella proposta ci sono luci ed ombre. È positiva la scelta che prevede il varo di una direttiva, che è un atto vincolante per gli Stati membri, tuttavia se entriamo nel merito della proposta ci sono maglie troppo larghe nella protezione dei salari e nella discrezionalità lasciata agli Stati membri. La proposta della Commissione, per esempio, non obbliga gli Stati membri a introdurre una base minima legale di salario minimo e questo significa non tutelare i lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva. Questo sistema europeo di convergenza economica dei salari – così come proposto oggi dalla Commissione – rischia di essere dunque solo sulla carta e il Movimento 5 Stelle si impegnerà al Parlamento europeo per migliorarlo”.
La Commissione nella sua proposta si limita a stabilire criteri da seguire nella definizione del salario minimo. Si tratta di un intervento per l‘armonizzazione dei sistemi vigenti a livello nazionale. Per un salario minimo bisogna considerare “almeno” i seguenti quattro elementi: il potere d’acquisto del salario minimo legale, tenendo conto del costo della vita e del contributo delle tasse e delle prestazioni sociali; il livello generale dei salari lordi e la loro distribuzione; il tasso di crescita dei salari lordi; l’andamento della produttività del lavoro.
“Non imponiamo un modello, ma riteniamo importante avere criteri comuni, criteri oggettivi per una convergenza salariale”, sottolinea il commissario per l’Occupazione e gli affari sociali, Nicolas Schimt. “Offriamo strumenti agli Stati, e istituiamo strumenti di monitoraggio per i salari”.
Il direttore generale di BusinessEurope Markus J. Beyrer si è scagliato contro la proposta: “Vogliamo salari equi fissati dalle parti sociali nazionali, non salari minimi manipolati politicamente. Vogliamo un dialogo sociale veramente autonomo, non contrattazioni collettive quasi obbligatorie imposte dalle autorità pubbliche”, afferma in una nota. Per la Confindustria europea “quello che la Commissione propone è un mostro legale. Può solo portare a una giurisprudenza problematica perché le deroghe proposte non possono alleviare i problemi creati dagli obblighi previsti. Le aziende si battono per la sopravvivenza e per salvare i posti di lavoro minacciati dalla crisi COVID. Non hanno margini per assorbire il costo di esperimenti pericolosi sul salario minimo a livello dell’UE”.
Anche l’associazione delle PMI europee è molto insoddisfatta. SMEunited “è fortemente delusa dalla scelta della Commissione di adottare una direttiva per affrontare la questione dell’equo salario minimo in Europa. La creazione di un quadro vincolante a livello europeo – afferla l’associazione – va oltre le competenze dell’UE. Inoltre, interferirà inevitabilmente con l’autonomia delle parti sociali e la loro libertà di contrattazione collettiva”.
In sintesi la proposta di direttiva chiede ai governi di utilizzare valori di riferimento indicativi per guidare la loro valutazione di adeguatezza in relazione al livello generale dei salari lordi, ma non prescrive un indicatore specifico. L’utilizzo di indicatori comunemente usati a livello internazionale, come il 60% del salario medio lordo e il 50% del salario medio lordo, può aiutare a guidare la valutazione dell’adeguatezza del salario minimo in relazione al livello salariale lordo, ma non è obbligatorio.
Agli Stati membri si chiede di adottano le misure necessarie per “garantire l’aggiornamento regolare e tempestivo dei salari minimi legali al fine di preservarne l’adeguatezza”. I governi dovranno poi avvalersi di organi consultivi per consigliare le autorità competenti su questioni relative ai salari minimi legali.
Negli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore al 70% dei lavoratori si dovrà prevedere un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge previa consultazione delle parti sociali o previo accordo con i lavoratori, e stabilire un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva. Piano che dovrà essere pubblico e notificato alla Commissione europea.
“Non vogliamo interferire con i sistemi di contrattazione collettiva”, spiega Dombrovskis. Quindi nei sei Stati membri dove non c’è un salario minimo per legge non si interverrà. Ma più in generale la Commissione mira a promuovere la contrattazione collettiva sui salari in tutti gli Stati membri, perché “i paesi con un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una quota inferiore di lavoratori a basso salario, una disuguaglianza salariale inferiore e salari minimi più elevati”. Adesso più che mai vanno ridotte le disuguaglianze. “Se non agiamo la pandemia aumenterà il divario tra ricchi e poveri”.