La seconda ondata di Coronavirus sta avviandosi ad esprimere la sua piena potenza, mentre i Governi fanno quel che riescono perché lo tsunami (oramai in molte Cancellerie il nome che si dà a questo periodo è quello) non sia troppo travolgente. Oramai però la diffusione del virus ha superato in velocità le reazioni del mondo politico, di tutto il mondo politico, e non si può neanche dire che non erano stati diffusi allarmi su quanto sarebbe accaduto dopo l’estate.
Da una parte c’è un dibattito sempre più acceso sulle misure di prevenzione, tutte molto simili, assunte dai Governi e le pattuglie delle opposizioni che, comunque sia, ovunque contestano le scelte, come le contestavano anche prima e durate l’estate. Qui c’è da dire, a onor del vero, che se l’emergenza sanitaria impone delle restrizioni, i principi democratici (nei quali vive quasi tutta l’Unione) complicano la realizzazione di un intervento di limitazione delle libertà molto deciso.
Dall’altra parte ci sono le misure per la ripresa, e qui, senza dubbio alcuno, l’Unione europea è in un drammatico ritardo: lo è in riferimento alle misure prese durante la prima ondata e lo è per le misure, non ancora prese, per la seconda.
In sostanza: siamo quasi (forse) pronti a fronteggiare i danni all’economia portati dal COVID nella crisi del primo semestre, ma non abbiamo neanche pensato a come affrontare i danni di quella del secondo semestre e di quelli a venire.
In una complicata (ma democratica) procedura i Governi europei e il Parlamento europeo stanno trattando il Bilancio pluriennale dell’Unione (QFP), che i deputati vorrebbero sostanzialmente più robusto, anche perché la pandemia ha fatto saltare tutti gli schemi previsti ai tempi della sua concezione, mentre del tutto fermo è oramai il percorso del Recovery Fund, che il Consiglio europeo, su spinta della Commissione, vuole vedere legato al QFP. Tutto fermo perché se non parte il Bilancio non parte neanche la procedura di ratifica del Recovery che deve essere fatta da tutti i Parlamenti dell’Unione. Alcuni governi, come quello italiano, stanno già spendendo quei fondi, mettendoli a carico di questo strumento europeo d’emergenza, ma di fatto quando questi soldi arriveranno non lo sa nessuno.
Tutta la manovra dovrebbe essere in vigore dal primo gennaio prossimo, ma siamo al 27 novembre e le procedure nazionali sono lontane dall’essere avviate. Lo abbiamo scritto già più volte su questo giornale.
Ora però il problema è che questa seconda ondata porta nuove misure di contenimento, e altre ne porterà, che stanno creando un obiettivo nuovo danno all’economia, e per questo non ci sono ancora nuovi strumenti di intervento. Certo, i soldi del primo Recovery si potranno spalmare in capitoli diversi, ma erano stati quantificati per quel danno, quello della primavera-estate, non per il nuovo che sta arrivando.
I governi stanno impegnandosi a trovare i fondi, ma dove li troveranno alcuni di loro, come quello italiano o quello spagnolo non si sa. Si potrà, per fortuna, ricorrere al classico debito pubblico, le cui ultime aste a Roma come a Madrid hanno portato a collocamenti a tassi negativi, e sarebbe anche utile ricorrere al Meccanismo salva-stati, il MES, che ha pronti, ad esempio per l’Italia, circa 36 miliardi che potrebbero essere spesi immediatamente per potenziare i servizi sanitari (presidi medici, personale e tutto quel che serve).
Probabilmente però queste misure non basteranno. Durante l’estate si è perso molto tempo, in polemiche dannose per i cittadini e abbandonandosi a ottimismi contro i quali gli scienziati più seri hanno sempre messo in guardia.