Sono in corso le celebrazioni della Settimana della lingua italiana che da ormai vent’anni portano la nostra lingua alla ribalta dell’attenzione internazionale. È indubbio che l’italiano gode di un grande prestigio nel mondo e siamo anche diventati abbastanza bravi a promuoverlo e a insegnarlo, anche se molte cose mancano, come una certificazione unica di conoscenza della lingua.
Ma potremmo fare di più e non solo dal punto di vista linguistico. Potremmo usare l’italiano come uno strumento di influenza per diffondere nel mondo non solo la nostra cultura ma anche il modello politico dello stato di diritto e degli ideali democratici. Questo andrebbe nel nostro interesse, soprattutto nelle regioni a noi vicine, perché vi promuoveremmo la stabilità.
Potremmo ad esempio usare l’italiano per formare la nuova classe dirigente di paesi che ora sono da ricostruire, come l’Eritrea, dove già l’italiano è diffuso. E anche ripristinare una rete di licei italiani all’estero e in questo modo attirare stranieri nelle nostre università, promuovendo così il nostro sistema universitario e aprendoci anche una via d’accesso ai loro paesi. Questo significa mercati per la nostra economia, estensione della nostra influenza, sempre intesa come elemento di stabilizzazione, non di ingerenza.
Insomma, la nostra lingua può essere la punta di diamante di una forza tranquilla della politica estera italiana, fatta di attrattiva culturale e di stile di vita. Con un occhio anche all’Unione europea e alla diffusione del suo modello politico nel mondo.
L’italiano avrà i proiettori puntati su di sé anche l’anno prossimo con le celebrazioni di Dante nel settimo centenario della morte. Dante e la sua Commedia hanno all’estero una notorietà che non ci immaginiamo. Troppo spesso lo crediamo un autore tutto italiano e tutto medievale. In realtà dovremmo cominciare col conoscerlo meglio noi stessi e imparare una buona volta a leggere la Commedia come si legge un libro, lasciando da parte tutto l’apparato critico che siamo abituati a tirarci dietro e che toglie il piacere della lettura. La Commedia è un’avventura fantastica, un fuoco d’artificio di invenzioni, in tutti i sensi, infernali e no. Troppa critica letteraria lo rende illeggibile.
Un’altra battaglia da condurre per diffondere l’italiano all’estero ma anche consolidarlo in patria è usarlo correttamente, nel parlare quotidiano ma anche nei social media. I social media fanno parte della modernità e non bisogna demonizzarli né snobbarli. Hanno la loro legittimità di piattaforme di comunicazione e nulla impedisce di servirsene usando una lingua che nella necessaria sveltezza e immediatezza non rinunci ad essere corretta. E soprattutto che non rinunci ad essere italiana. Dobbiamo sempre tenere a mente che usare l’inglese non è necessariamente più chiaro o più rapido e che esiste sempre la parola italiana che può efficacemente sostituire gli anglicismi. Si tratta in fondo di amore e di rispetto per la propria lingua e per la propria cultura. In fin dei conti, per la propria identità. Se crediamo che l’italiano non sia capace di esprimere la modernità, condanniamo noi stessi a essere dei dinosauri in via di estinzione.
Troppo spesso sentiamo i nostri giornalisti usare anglicismi a sproposito, sbagliandone poi anche la pronuncia. Poi serve usare una lingua chiara. Essere chiari e parlare correttamente è in fondo il primo livello del senso civico. Chi parla confuso non vuole dire o non sa dire e in qualche modo ci inganna.
Un altro veicolo di diffusione della nostra lingua è chiaramente la letteratura ed in questo la traduzione svolge un ruolo essenziale. I libri hanno la forza di diffondere silenziosamente idee e modi di vivere. Quando un nostro libro gira nel mondo è l’intero sistema paese che facciamo conoscere, attraverso quest’opera. Un nostro libro descrive il nostro modo di vivere, racconta la nostra realtà. Tradurlo significa far conoscere tutte queste cose a un pubblico straniero, stuzzicare curiosità nei nostri confronti ma anche farci conoscere meglio. Basti pensare ai cosiddetti “paesi frugali”. Se ci considerano spensierate cicale fannullone, vuol dire che non ci conoscono, che ci vedono attraverso una lente di luoghi comuni superati. Spetta dunque a noi usare la nostra diplomazia culturale, composta da tutti gli ingredienti che ho descritto, dalla lingua alla cultura, per dare loro una diversa immagine dell’Italia.