Bruxelles – È il 22 ottobre. Secondo il crono-programma dei negoziati sulla fase post-Brexit dovremmo ormai essere alle battute finali, con un’intesa da raggiungere al massimo entro sabato prossimo. Un accordo di Halloween in preparazione al 31 dicembre: giorno della fine dell’anno e del periodo di transizione. E invece no, siamo esattamente al punto in cui ci trovavano poco più di due settimane fa, quando il capo-negoziatore britannico, David Frost, e il cancelliere del Ducato di Lancaster, Michael Gove, esprimevano le loro valutazioni sullo stato dei negoziati alla Camera dei Lord, mentre il premier Boris Johnson apriva all’eventualità di un no deal.
Non c’è dubbio che, dopo la relazione di ieri al Parlamento UE del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel e quelle del vicepresidente della Commissione, Maroš Šefčovič, e del capo-negoziatore, Michel Barnier, la situazione si sia sbloccata nuovamente. I tre leader europei hanno utilizzato a turno un’evidente tattica del “poliziotto buono, poliziotto cattivo” nei confronti di Londra: difficile sapere se sono risultati più convincenti con la minaccia di un arbitrato indipendente vincolante in caso di violazione dell’Accordo, con la promessa di rispettare la sovranità del Regno Unito, o con un mix dei due. Comunque sia, nel tardo pomeriggio è arrivata la reazione di Downing Street, che ha confermato la disponibilità a riprendere i negoziati già questa settimana (Barnier aveva riferito Parlamento di essere pronto a tornare a Londra lunedì prossimo): “Abbiamo convenuto che è stata ristabilita una base per i negoziati con l’UE e Michel Barnier”, ha commentato su Twitter il capo-negoziatore britannico Frost. “Colloqui intensi si svolgeranno ogni giorno e inizieranno domani pomeriggio, 22 ottobre, a Londra“.
We have agreed that a basis for negotiations with the EU & @michelbarnier has been re-established. Intensive talks will happen every day & begin tomorrow afternoon, 22 October, in London.
Here is the UK statement & link to the agreed working methodology.https://t.co/2MLr8KrPfv
— David Frost (@DavidGHFrost) October 21, 2020
La fase iniziale di questi “intensi colloqui” durerà fino a domenica 25 ottobre. In seguito i negoziati proseguiranno sempre a Londra, o a Bruxelles, oppure in videoconferenza, a seconda degli sviluppi della situazione Covid-19. Secondo i principi concordati da Barnier e Frost durante la telefonata di ieri pomeriggio, le trattative si imposteranno sulla base dei testi legali di entrambe le parti, fino a quando non verrà trovato un approccio comune. Solo a quel punto sarà istituito un segretariato congiunto, per mettere a punto un testo consolidato. Le aree di convergenza dovranno essere formalmente elencate in una tabella o in diversi testi, mentre continueranno le discussioni sui disaccordi politici in sospeso, tra cui il level playing field, la governance, la pesca, l’energia e la fornitura di beni e servizi. “Come è sempre accaduto durante i negoziati, la trasparenza e l’unità sono fondamentali. Il Parlamento Europeo avrà voce in capitolo su qualsiasi accordo“, ha commentato su Twitter il capo negoziatore UE Barnier, dopo aver aggiornato la conferenza dei presidenti e prima di partire per Londra.
https://twitter.com/MichelBarnier/status/1319217532352552960?s=20
Tuttavia questa breccia nel muro che si è alzato tra Regno Unito e Unione Europea non può dare l’illusione che tutti i problemi siano stati improvvisamente spazzati via dal tavolo negoziale. Prima cosa, l’Unione Europea non sta offrendo e non offrirà (“fino all’ultimo giorno di negoziati la nostra posizione non cambierà mai”, ha esordito ieri Barnier nel suo intervento al Parlamento) un accordo commerciale in stile canadese, cioè un classico accordo di libero scambio senza clausole solide sulla politica di concorrenza. Questa sembra essere una conditio sine qua non dell’Unione, per proteggere il proprio Mercato unico. Seconda cosa, uno scoglio che difficilmente potrà essere superato se non con un compromesso è quello che riguarda la questione della pesca: “riconoscere la sovranità del Regno Unito”, a livello pratico, non può che voler dire accettare il principio di piena sovranità britannica sulle sue acque. Con buona pace della Francia, delle Fiandre e di tutte le flotte europee: è qui che la diplomazia di Barnier dovrà raggiungere il suo massimo risultato.
La reazione di Johnson – come spesso accade da quando è diventato premier – è difficile da prevedere. Rimane la bussola delle parole utilizzate nell’editoriale del Financial Times di domenica scorsa: “La tattica di Boris Johnson è sempre stata quella di minacciare il no deal, usarlo come copertura politica, per poi vendere l’accordo finale come un trionfo per la sua tenacia”. Potrebbe aver bluffato fino a ora, alzando la posta e facendo cedere un millimetro alla volta la controparte dalle proprie posizioni più intransigenti. Oggi sarebbe arrivato per lui il momento di incassare la vincita. Oppure potrebbe essere stata più semplicemente la solita “propensione alla teatralità e al rischio dei britannici”, sempre richiamando l’editoriale del quotidiano londinese. Se così fosse, fino a domenica andrebbe in scena il fallimento delle ultime possibilità rimaste per chiudere un accordo sulla Brexit.