Bruxelles – Il meccanismo per la ripresa, con il suo recovery fund, ancora non è attivato. E’ oggetto e ostaggio di negoziati politici inter-istituzionali non semplici, ma quella presentata da più parti e in più occasioni come una decisione senza precedenti potrebbe non rimanere isolata. Sembra aver preso corpo l’idea che se dovesse funzionare potrebbe essere replicata. Idea rilanciata con forza anche dalla BCE. La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha invitato i governi dell’Eurozona a “discutere la possibilità che rimanga nella cassetta degli attrezzi europea in modo che possa essere riutilizzato se si verificano circostanze simili”.
Una presa di posizione ufficializzata in occasione della chiacchierata con leMonde, che però lascia trasparire gli orientamenti di più di un governo per il futuro. La creazione di debito comune per rispondere alle sfide comuni fa storcere il naso ai soliti noti, i Paesi poco inclini a mutualizzare rischi, ma l’argomento è più di un tabù infranto.
Fonti ben informate confermano che Spagna e Italia sono i veri banchi di prova. Dalla credibilità dei piani nazionali di rilancio e dalla loro attuazione dipenderà molto del futuro prossimo dell’Unione. Questi due Paesi sono i principali beneficiari dello straordinario meccanismo dal valore complessivo di 750 miliardi di euro tra prestiti (360 miliardi) e garanzie (312,5 miliardi). “Il Recovery è un esperimento”, spiegano a Bruxelles. Proprio per questo, se dovesse riuscire, potrebbe essere elevato a strumento vero e proprio.
Ancor più delle fonti ad aprire ad una istituzionalizzazione di Next Generation EU (questo il nome del meccanismo di ripresa) sono anche i consiglieri economici della Commissione europea. Lo European Fiscal Board, organismo indipendente di consulenza per le questioni di politica economica, lo mette nero su bianco nel suo rapporto annuale 2020, di fresca pubblicazione.
“La crisi pandemica ha dato luogo a proposte di nuovi strumenti di sostegno fiscale a livello comunitario”, si premette. Questi strumenti “hanno preparato il terreno per la ripresa, formando potenzialmente una versione embrionale di una capacità fiscale centrale“, demandando alla Commissione il compito di reperire risorse sui mercati per conto degli Stati membri nel loro insieme. Partendo da qui, “un obiettivo chiave per i prossimi anni deve essere quello di evitare gli errori dei precedenti periodi post-crisi e di favorire modalità e disposizioni che proteggano e stimolino la spesa pubblica a favore della crescita“. Esattamente quello che si prefigge il meccanismo per la ripresa con il suo recovery fund.
Dalla BCE e dalla Commissione europea ci si inizia a schierare. In Consiglio il processo è meno automatico, ma c’è chi giura che anche tra gli Stati membri ormai le cose sono cambiate, e in modo più o meno irreversibile. “Il ritorno al patto di stabilità e crescita del periodo ante-Covid appare difficile”, si sussurra. Quindi avanti tutta con meccanismo analoghi a quello per la ripresa? Presto per dirlo, ma ancor più prematuro escluderlo.
Lo European Fiscal Board comunque mette in chiaro che le regole d’ingaggio andranno riviste. Perché meccanismo di ripresa e regole di bilancio si intrecciano profondamente. Si ricorda che secondo l’intesa politica maturata in questi mesi l’accesso alle risorse europee per la ripresa sono pressoché libera da vincoli. In prospettiva, però, “se queste disposizioni diventassero il modello per una futura capacità di bilancio centrale, l’accesso potrebbe essere subordinato al rispetto del quadro di bilancio“.
Del recovery fund bisogna dunque approfittare adesso che è più semplice poterlo fare. Ne sanno qualcosa Italia e soprattutto Spagna. Il governo di Madrid ha espresso l’intenzione di usufruire solo della quota parte a fondo perduto e non prendere per ora i prestiti che farebbero aumentare debito e imporrebbero la restituzione. Alla stessa possibilità sta ragionando anche il governo Conte. In fin dei conti Next Generation EU è il frutto di una scelta politica, e altrettanto politica è la scelta di farvi ricorso e in che modi.
Ma il discorso non si esaurisce qui. I consiglieri della Commissione ritengono che dato il mutato scenario gli obiettivi di correzione incardinati nel patto di stabilità e nel patto di bilancio europeo (Fiscal compact) debbano essere aggiornati. Vuol dire “fissare obiettivi realistici per la riduzione del debito negli Stati membri ben al di sopra del valore di riferimento del 60%“. Un cambiamento che si rende quanto mai obbligato, visto che il “ritmo soddisfacente” dell’aggiustamento del debito definito dalle regole “è diventato un indicatore meno realistico con il grave peggioramento delle finanze pubbliche”.
Si preannuncia una vera e propria rivoluzione copernicana, che implica il dover affrontare seriamente la revisione del patto di stabilità e delle sue regole prima ancora che decidere se reintrodurlo. E che conduce al punto di partenza: l’esperimento recovery fund che l’Italia ha l’onere di far funzionare. “Quanto più sapremo gestire bene i fondi del fondo per la ripresa tanto più saremo forti al tavolo negoziale sulla revisione delle regole del patto di stabilità”, confessano a Bruxelles.
Il futuro finanziario e di bilancio dell’UE è dunque tutto da definire, ma un’impostazione politica è già tracciata. Ora bisogna solo dare seguito, con l’Italia chiamata a ricoprire il ruolo di protagonista.