Bruxelles – Le ragioni per preoccuparsi sono molte, e non solo per gli imprenditori, su quanto sta avvenendo in Europa. La Brexit, le misure per la ripresa, il difficile negoziato sul Quadro finanziario pluriennale. Ne abbiamo parlato con Stefan Pan, delegato del Presidente di Confindustria per il coordinamento e lo sviluppo delle relazioni con le organizzazioni UE di rappresentanza industriale, alla vigilia del Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre.
Su Brexit, lo scenario di un no deal comincia ad essere preso seriamente in considerazione e c’è chi già parla di un accordo parziale o di possibili “mini accordi”, che possano tamponare gli effetti immediati dell’uscita del Regno Unito dall’Ue, in particolare nei settori dei trasporti aerei e stradali.
Non è sufficiente un semplice Free Trade Agreement (FTA). Abbiamo bisogno di un accordo che copra anche gli aspetti normativo-regolamentari, che preservi la concorrenza leale e il mercato unico e che rispetti gli impegni già assunti dall’Unione e dal Regno Unito con l’Accordo di recesso e la Political Declaration.
Per questo abbiamo sempre sostenuto, in linea con l’intera comunità imprenditoriale europea, la necessità di un accordo onnicomprensivo e ambizioso, da raggiungere in tempo per consentire la ratifica e l’entrata in vigore entro il primo gennaio 2021.
E oggi (mercoledì 14 ottobre) abbiamo firmato, insieme ai tedeschi di BDI e ai francesi di MEDEF, un appello comune rivolto ai negoziatori di entrambe le parti affinché facciano prevalere il senso di responsabilità nel reciproco interesse dell’Unione europea e del Regno Unito e ci consegnino in tempo l’accordo ambizioso di cui abbiamo tutti bisogno.
Per quanto riguarda i negoziati sul Bilancio Pluriennale da cui dipende in parte la sorte del Recovery Fund, i colli di bottiglia sono al momento tre: la richiesta del Parlamento europeo di maggiori fondi per il Bilancio post 2020, il braccio di ferro tra Parlamento e Consiglio e tra Stati membri in Consiglio sulla condizionalità per l’accesso ai fondi di Next Generation Eu legata al rispetto dello stato di diritto, e la ratifica dei 27 Parlamenti nazionali della Decisione sulle risorse proprie, su cui si regge sia la nuova proposta di Bilancio pluriennale e che il Recovery Fund. Partita difficile, che ne pensa?
In questo momento tutti hanno una leva per bloccare il negoziato, ma pochi hanno un’opzione credibile per riuscirci davvero assumendosene la responsabilità politica e storica.
Il Parlamento europeo può minacciare di porre il veto al QFP e ai regolamenti di spesa, ma alla fine la sua maggioranza ha un forte interesse a che i fondi arrivino agli Stati membri e a che non siano trattenuti a Bruxelles. Lo stesso vale per molti Stati membri. Perfino Orbán non ha una minaccia credibile per far saltare il banco delle trattative e dovrà accettare di scendere a compromessi pur di recuperare i soldi europei di cui l’Ungheria ha bisogno.
Quelli che possono davvero bloccare il processo sono i Paesi che hanno meno bisogno di soldi: i Paesi frugali. Possono farlo irrigidendosi sulla condizionalità legata allo stato di diritto oppure strumentalizzando il processo di ratifica nei rispettivi parlamenti nazionali, che è necessario per l’entrata in vigore di tutto il pacchetto di misure.
Su questo punto – la ratifica di 27 Parlamenti nazionali – c’è molta confusione o sottovalutazione del rischio. Per questo è necessario che a Bruxelles le Istituzioni europee trovino rapidamente un accordo politico solido, in grado di convincere anche le opinioni pubbliche e i Parlamenti dei Paesi finora meno disponibili.
I tempi rischiano di allungarsi. E’ preoccupato?
È improbabile che questo processo possa concludersi entro gennaio. La prima tranche “senza condizioni” dei soldi del Recovery, pari al dieci percento, arriverà sotto forma di pagamento anticipato entro il primo semestre del prossimo anno, ma la seconda tranche sarà condizionata dai piani che i Paesi devono presentare entro il 30 aprile 2021.
La Commissione avrà 2 mesi per valutare ben 27 piani. Il Consiglio poi avrà un altro mese. Eccoci arrivati a luglio 2021. In teoria, i Paesi potrebbero presentare i piani prima del 30 aprile, ma dubito fortemente che questo accadrà, visto il numero di attori coinvolti e visto che nessun Paese vorrà essere scrutinato con attenzione e in solitaria dagli altri.
Il tema ora è un altro: qualche giorno fa il Presidente del Supervisory Bord della BCE Andrea Enria ha annunciato un potenziale tsunami di sofferenze bancarie che travolgerebbe il sistema economico europeo nel caso di una seconda ondata di misure restrittive imposte dai governi a causa della pandemia. Alcuni Stati membri stanno già adottando misure forti per sostenere le attività produttive ma il rischio è che quando diventerà pienamente operativo il piano da 750 miliardi risulti insufficiente e che si dovrà dunque discutere di come e di quanto rafforzarlo. Per questo non possiamo permetterci ritardi.
L’Italia e il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza. Confindustria è pronta a fare la sua parte?
Ha ragione il Presidente Bonomi quando dice non possiamo permetterci di fallire nell’implementazione del Recovery Plan, perché il danno per il Paese sarebbe immenso e lo pagheremmo tutti, per gli anni a venire.
L’Italia ha avviato i lavori per preparare il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza con cui dovrà definire il programma di riforme e investimenti per gli anni 2021-23.
Sappiamo che la Commissione ha avviato un dialogo con gli Stati membri affinché tutte le indicazioni siano tenute in debita considerazione: Confindustria considera questo dialogo fondamentale ed auspica che la Commissione lo estenda coinvolgendo anche agli attori economici. Noi siamo disponibili a fornire ogni eventuale supporto necessario e a fare la nostra parte.
Abbiamo sempre sostenuto la necessità per l’Italia di seguire le raccomandazioni della Commissione sulle riforme strutturali da portare avanti (sostenibilità della spesa pubblica, politiche attive del lavoro, investimenti per l’economia reale, riforma della PA ed efficientamento del sistema giudiziario). Pensiamo quindi che il Piano Nazionale rappresenti un’occasione unica per introdurre nel Pese quei cambiamenti strutturali e sistemici di cui ha davvero bisogno e che noi rivendichiamo da tempo.
Per quanto riguarda gli investimenti, gli interventi dovranno essere necessariamente parte di una strategia di sviluppo del Paese più ampia, coerente e sinergica con il framework europeo, fortemente ancorata ai due pilastri del Next generation EU e del QFP, puntando su digitalizzazione e sostenibilità. Le priorità sono senz’altro dare continuità al Piano Transizione 4.0, rilanciare l’idea degli appalti innovativi, finanziare gli IPCEI e potenziare la dotazione impiantistica del Paese.