Bruxelles – Stipendi inferiori, pensioni più basse, maggiori rischi di povertà. Ma anche rappresentanza limitata ai vertici del potere. Nel mondo degli affari, in politica e più in generale nella società, le donne, anche in Europa, soffrono di una condizione di disparità rispetto agli uomini.
E sebbene l’Unione europea sia formalmente impegnata verso la parità di genere, si sta muovendo verso l’obiettivo a passo troppo lento. Lo sottolineano i dati dell’ultimo rapporto dell’European Institute for Gender Equality (EIGE), l’agenzia indipendente dell’UE che si occupa di monitorare i progressi degli Stati sull’uguaglianza di genere, che parlano di parità come di un traguardo ancora lontano da raggiungere. Con un punteggio dell’indice sull’uguaglianza di genere pari a 67,4 su 100 nel 2019 (con dati relativi al 2017), l’UE può e deve fare ancora di più. Dal 2005 al 2019 si è rilevato un miglioramento di soli 5,4 punti (+ 1,2 punti dal 2015). Il rapporto in questione valuta i progressi sull’uguaglianza di genere in relazione a sei aspetti della vita: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere salute. Passi avanti si rilevano soprattutto nei settori della salute (88,1 punti) e del denaro (80,4 punti). Ma le disuguaglianze di genere rimangono preoccupanti per quanto riguarda i ruoli di potere (51,9 punti).
Donne, economia e ruoli di potere
A venticinque anni dalla Dichiarazione di Pechino sulla parità di genere, firmata nel settembre 1995, anche per Bruxelles è arrivato il tempo di fare un bilancio. Nel quadro della quarta conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, con la dichiarazione in questione si sono stabiliti a livello globale obiettivi strategici per raggiungere la parità di genere in 12 aree, tra cui: donne ed economia, violenza contro le donne, donne e ambiente e donne in ruoli di leadership. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha dichiarato in più di una occasione che anche su questo tema l’Unione ha bisogno di un cambiamento effettivo. Lei, che già di per sé rappresenta un tentativo di cambiare le cose anche all’interno delle istituzioni europee, dopo essere diventata la prima donna a ricoprire il ruolo di capo della Commissione europea.
“La parità di genere è un principio fondamentale dell’Unione europea, ma non ancora una realtà”, scandiva von der Leyen a marzo 2020, quando l’Esecutivo ha presentato una strategia per la parità di genere per il periodo 2020-2025. I dati snocciolati in quell’occasione mostrano una realtà ancora preoccupante soprattutto in ambito lavorativo. In media, la retribuzione oraria delle donne in Europa è inferiore a quella degli uomini, con un divario retributivo di genere del 16 per cento. Ancora, solo il 67 per cento delle donne nell’UE ha un’occupazione, (contro il 78 per cento degli uomini occupati); mentre le pensioni delle donne sono inferiori del 30,1 per cento rispetto a quelle degli uomini. Le ragioni di questo divario retributivo possono essere diverse, dal fatto che le donne più spesso degli uomini mettono in pausa il lavoro per prendersi cura di bambini o parenti o per lo stesso motivo lavorano a tempo parziale. Ma ci sono anche casi in cui, a parità di lavoro, le donne sono di fatto pagate meno rispetto agli uomini.
Esiste un impatto economico determinato dal divario occupazionale di genere, che è possibile quantificare in 370 miliardi di euro all’anno. Secondo le stime di Bruxelles, il miglioramento dell’uguaglianza di genere potrebbe portare a un aumento del Pil fino a 3,15 trilioni di euro entro il 2050. Nella sua strategia per l’uguaglianza, la Commissione europea ha previsto l’introduzione di misure vincolanti sulla trasparenza retributiva entro la fine del 2020 per migliorare la situazione. Di questo non si è più parlato e le nuove misure potrebbero slittare a causa della pandemia.
Lo stesso discorso vale per i ruoli di leadership all’interno di aziende e società: attualmente in Europa solo il 7,5 per cento dei presidenti dei consigli di amministrazione e il 7,7 per cento degli amministratori delegati sono rappresentati da donne. Discriminazione di genere significa anche che le donne spesso finiscono in posti di lavoro più precari o che rappresentano una quota di minoranza tra le posizioni “di alto livello”. Al tema è stato dedicato il webinar Accelerating Equality organizzato dal Financial Times in collaborazione Philip Morris International (PMI), svoltosi giovedì primo ottobre e finalizzato anche a capire come affrontare il tema della diversità nel mondo degli affari.
Le aziende possono contribuire a guidare il cambiamento sociale? “La diversità è la nostra forza”, racconta Silke Muenster, Chief Diversity Officer di Philip Morris International, discutendo dell’importanza di dar vita a uno spazio di lavoro inclusivo e diversificato per guidare il cambiamento all’interno di un’azienda. Sicuramente molte aziende hanno cominciato a capire che “diversità e inclusione rappresentano un imperativo di business”. Le “diversità sono vettori per l’innovazione” e alle aziende serve “l’innovazione che arriva da diversità e inclusioni”.
Molti progressi sono stati fatti e sono evidenziati dai numeri. Attualmente, “le donne rappresentano il 42 per cento della forza lavoro in Philip Morris. Poco meno del 37 per cento delle posizioni dirigenziali sono occupate da donne”. Dati in aumento rispetto al 29 per cento che registrava nel 2014. L’obiettivo è però quello di aumentare ancora di più la presenza femminile ai vertici delle posizioni dirigenziali portandola fino ad almeno il 40 per cento entro il 2022. Per questo “dobbiamo accelerare”, ha sintetizzato Muenster, perché “anche se i numeri stanno migliorando, gli sviluppi sono ancora troppo lenti”.
Invertire la rotta
Il tema è in agenda anche nella plenaria del Parlamento europeo (5-8 ottobre), dove i deputati hanno chiesto al Consiglio dell’UE di adottare la cosiddetta direttiva ‘Donne nei consigli di amministrazione” per introdurre una procedura aperta e trasparente per raggiungere un minimo di 40 per cento delle donne nei consigli non esecutivi delle società dell’UE. La direttiva è bloccata da sette anni da una minoranza di Stati membri in Consiglio. Il tema è ancora più attuale oggi, alla luce dello scoppio di una crisi sanitaria ed economica che ha gli effetti più devastanti proprio nei settori dove la forza lavoro è prevalentemente femminile, i servizi scolastici, per l’infanzia e domestici, ma anche quelli sanitari e quelli riguardanti il settore culturale e artistico.
La pandemia Covid-19 ha aumentato le disuguaglianze tra uomini e donne e rischia di mettere a rischio le conquiste raggiunte fino a questo momento sulla parità di genere. Anche per questo, nel quadro dei negoziati in corso su Bilancio e Recovery fund, gli eurodeputati hanno chiesto, nero su bianco, l’introduzione di obblighi in materia di integrazione della dimensione di genere e impatto di genere (bilancio di genere) sia nel regolamento sul QFP (Quadro finanziario pluriennale, 2021-2027) sia in quello relativo al Next Generation EU.
Contenuto redatto in collaborazione con Philip Morris Italia.