Bruxelles – Il Parlamento europeo vuole risorse proprie. Vuole che l’UE sia in grado di pagare per il suo piano per la ripresa, quando partirà. Chiede agli Stati membri chiari impegni per quanto riguarda strumenti che garantiscano introiti per le casse dell’Unione. Il crono-programma c’è. Tassa sulla plastica e meccanismo di compravendita dei diritti di emissioni (ETS) a partire dal 2021; tassa anti-CO2 attraverso il meccanismo di aggiustamento alle frontiere, da introdurre nel 2023; tassa digitale e tassa sulle transizioni finanziari, da imporre a partire dal 2024; base imponibile comune per le imprese (CCCBT) in vigore dal 2025.
Strumenti e tempistiche sono però su carta. Il Parlamento vuole che nessuno di questi due elementi sia rimesso in discussione. Nella conferenza stampa organizzata dai membri del Gruppo di contatto del Parlamento per il bilancio di lungo termine e le risorse proprie in occasione dell’inizio della round negoziale di questa settimana viene chiarito che ci devono essere tutte e sei le fonti di entrata per l’UE, e in modo da garantire che i soldi reperiti sul mercato dall’esecutivo comunitario per finanziare il meccanismo per la ripresa siano restituiti, così come gli interessi. “Bisogna fare in modo che il fondo per la ripresa (RRF) sia completamente rimborsabile”, sottolinea Valérie Hayer, deputata francese di Renew Europe. “Altrimenti, senza risorse proprie, gli Stati dovranno aumentare il loro contributo nazionale, e questo vorrebbe dire più tasse per i cittadini”.
Qualcosa che andrebbe contro il principio alla base del meccanismo per la ripresa. La ripresa non va scaricata sui cittadini. Per questo serve un accordo che però non appare alla portata, perché nel negoziato non facile sulla traduzione pratica della strategia di rilancio dell’UE non ci sono solo le risorse proprie, ma il meccanismo di difesa dello Stato di diritto. La proposta della presidenza tedesca del Consiglio dell’UE “è debole”, secondo gli europarlamentari. “Vogliamo un meccanismo che protegga davvero, che preveda sanzioni e che si attivi senza bisogno di unanimità”, sintetizza ancora Hayer.
“Alcuni Stati sfruttano la regole dell’unanimità per fare ricatti su altre parti del negoziato”, denuncia e lamenta Johan van Overtveldt (ECR), presidente della commissione Bilanci. Un riferimento a Polonia e Ungheria che minacciano di far saltare l’intero negoziato per le questioni dello Stato di diritto. Ma un riferimento anche ai Paesi frugali (Paesi Bassi, Svezia, Austria, Danimarca), che vogliono un accordo su accordo a lungo termine e meccanismo per la ripresa insieme. Fanno dunque ostruzionismo, e questo complica le cose.
“Vogliamo un accordo, ma non a tutti i costi”, mette in chiaro van Overtveldt. Ma occorre fare in fretta, per bilancio e soprattutto su piano per la ripresa. Sulle risorse proprie serve la proposta del Consiglio, l’opinione del Parlamento europeo, quindi l’adozione all’unanimità da parte degli Stati membri e infine la ratifica dei 27 Parlamenti nazionali. Un processo che può portare via un anno. “Non prendetevela col Parlamento se siamo in ritardo”.
Il gruppo di contatto vede progressi, ma ancora limitati. Si attende dalla controparte del Consiglio maggiori concessioni e proposte. Resta disponibile al confronto. Il prossimo momento della verità è giovedì, 8 ottobre, giorno di ultima seduta negoziale della settimana.