Bruxelles – “Stretta la soglia, larga la via, dite la vostra che io dico la mia”. La formula di chiusura delle fiabe all’insegna degli ingressi dei leader a Bruxelles per il vertice straordinario del Consiglio europeo. Interessi diversi, certo, ma pur sempre un’agenda comune, quella dei lavori che ricorda il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Dopodiché ogni leader si cimenta in commenti e considerazioni diverse, proprio nel momento in cui ci si attendeva una prova di forza (e capacità) a parlare con una voce sola su temi di politica estera. Sullo sfondo resta il Recovery Fund, con l’Italia che preme per accelerare, i frugali che fanno di tutto per frenare, i Visegrad che vorrebbero i soldi ma non le regole sullo stato di diritto, e che per i momento è in stallo.
Invece no. Ecco il primo ministro ceco, Andrej Babis, ricordare che c’è la questione della nuova ondata di Coronavirus che merita attenzione, e che invece “abbiamo dimenticato di mettere in agenda”. Un ‘rimbrotto’ a Michel, che questa lista degli argomenti da discutere l’ha scritta. La priorità di Praga potrebbe dunque ingolfare i lavori dei leader.
Ci prova il primo ministro lettone, Krisjanis Karins, a richiamare all’ordine. Tentativo riuscito a metà. Ricorda che l’UE “deve rispondere alle sfide esterne poste da Russia, Cina e Turchia”, e che per farcela “occorre lavorare insieme”. Quindi argomenta. L’UE, nel suo complesso, “è il mercato unico più florido al mondo, e non è debole, militarmente parlando”.
Dalla regione baltica soffiano venti di guerra? Certamente parole bellicose, a cui fanno eco quelle del presidente francese, Emmanuel Macron. “Quando uno stato membro è attaccato o provocato noi europei abbiamo il dovere di mostrare solidarietà”, dice entrando, in riferimento alle tensioni prodotte dalla Turchia lungo le frontiere con Cipro e Grecia. Quindi informa che ha già avuto modo di parlare dl Nagorno-Karabhak con i leader di Russia e Stati Uniti, e che una nota congiunta a tre è appena pubblicata. E pensare che di Nagorno-Karabakh dovrebbero discutere i Ventisette proprio oggi (1 ottobre), ma a quanto pare la Francia si porta avanti a tutti, a riprova della necessità di una politica estera davvero comune.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, approfitta dell’opportunità di dichiarazioni in entrata per parlare di tutt’altro. Premette lei stessa che “la Brexit non è in agenda”, ma vuole ricordare che l’esecutivo comunitario ha avviato una procedura d’infrazione contro il Regno Unito per la condotta non proprio corretta nei negoziati. E questo nonostante una conferenza stampa straordinaria convocata poche ore prima, in mattinata. La vanità è più femmina, probabilmente.
In un’agenda ricca di questioni di politica estera l’Italia pone l’accento invece sulla politica per il digitale. “Vogliamo che l’Europa recuperi il divario con gli Stati Uniti e la Cina, che sono più avanti nelle infrastrutture digitali”, spiega il presidente del Consiglio Giuseppe Conte al suo arrivo a Bruxelles. Il primo ministri belga Alexander De Croo ha ancora altro in testa: l’emozione della prima volta. “Sono contento di essere qui e incontrare i miei omologhi. Sono contento di annunciare che in Belgio c’è finalmente un nuovo governo”. Considerando che le elezioni si sono tenute il 26 maggio 2019, stesso giorno delle elezioni europee, in effetti è qualcosa da celebrare. A ciascuno le sue priorità.
E questo nonostante la cancelliera tedesca Angela Merkel provi a richiamare l’attenzione sulla delicata questione turca. “Dobbiamo porre rimedio alle tensioni nel Mar Egeo e nel Mediterraneo orientale, e qui la diplomazia gioca il ruolo più importante”. Il greco Kyriakos Mitsotakis di diplomazia sembra averne poca, forse perché la pazienza a disposizione è ancora meno. “Il comportamento provocatorio della Turchia, sia che si manifesti attraverso azioni unilaterali o attraverso una retorica estrema, non è più accettabile”.
Mark Rutte intanto continua a lavorare contro il meccanismo di ripresa. “Quello di luglio è un accordo su un pacchetto, e non è stato facile trovare una maggioranza nel mio Parlamento per questo pacchetto”, dice il premier olandese. Tradotto: se salta il pacchetto, salta tutto. E agli olandesi questo non dispiace. Dall’altra parte della barricata Giuseppe Conte tenta invece di accelerare il processo, cercando di semplificarlo. Uno scontro che c’era e che resta, a quanto pare.
Ungheria e Polonia lavorano invece contro le norme che legano la tutela dello stato di diritto all’elargizione di fondi europei per la ripresa, il capitolo sul quale rischia di naufragare tutto il negoziato con relativo ritardo della partenza del Recovey Fund. E neanche questo dispiacerebbe agli olandesi e ai finlandesi.
In una sala prove fatta di voci fuori dal coro e nessun coro, spicca l’intesa tra i leader di Lituania e Bulgaria. Entrambi chiedono sanzioni contro la Bielorussia, con un distinguo. Il lituano Gitanas Nauseda parla apertamente di un “periodo post-Lukashenko” e invita il presidente russo Vladimir Putin a non interferire in Bielorussia e farsi gli affari suoi. Peccato che a Mosca si stiano facendo proprio gli affari propri. Ma nell’Europa in cui ognuno dice la sua è più facile distrarsi.