Bruxelles – Da programma il piatto forte del vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’UE è la Turchia, con le agitazioni e le tensioni che il nuovo sultano Recep Tayipp Erdogan sta provocando nella regione del Mediterraneo orientale. Prospezioni di gas nella acque contese di Cipro e Grecia, movimentazione di navi, schieramento di carrarmati alla frontiera greco-turca. Tutti d’accordo a dire che non si può tollerare, ma al tempo stesso “non si può fare della Turchia una nuova Russia”, vale a dire un soggetto isolato e con zero o quasi possibilità di dialogo, confidano a Bruxelles. E allora si dovrà lavorare per trovare una soluzione che salvi la doppia politica a dodici stelle, fatta di diplomazia e risolutezza.
Ma i leader si ritrovano a Bruxelles divisi su temi di natura squisitamente più domestica. Malumori che interessano più di una delegazione si devono ai veti incrociati di quanti vogliono far naufragare, per ragioni diverse, la strategia di rilancio dell’Europa. Da una parte i Paesi che qualcuno definisce “illiberali”, vale a dire Polonia e Ungheria, che non vogliono alcun tipo di meccanismo che colleghi erogazione dei fondi al rispetto dello Stato di diritto. Dall’altra i “frugali” (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia), che vogliono ritardare quanto più possibile l’entrata in vigore di Next Generation EU, la strategia all’interno della quale ricade il fondo per la ripresa. A luglio questo manipolo di Paesi nordici ha dovuto accettare, sia pur con molte resistenze, di prestare e concedere denaro sotto forma di garanzie al resto d’Europa. Un progetto mai andato giù, e adesso a questo “sì” considerato dai diretti interessati come estorto fa seguito un non voler rispettare i patti. “Sono in molti ad essere in malafede”, si mugugna nella capitale dell’UE.
Sullo sfondo c’è dunque il rischio a questo punto reale di un meccanismo per la ripresa che non partirà dal primo gennaio 2020. Soldi che, se tutto va bene, potranno arrivare in primavera. Sempre che i veti dell’Europa nord-orientale vengano meno nel frattempo. Politicamente sullo sfondo c’è la sconfitta della Commissione, che aveva rivendicato fin dall’inizio la paternità del pacchetto che vede legati assieme bilancio di lungo termine e meccanismo di ripresa. Nell’impossibilità di far avanzare l’ultimo, e nella mancata assunzione di responsabilità per un eventuale mancato accordo sul primo, si rischiano due voti separati, quello ‘spacchettamento’ peraltro già operato in Parlamento europeo, dove si chiede un accordo su bilancio 2021-2027 senza tener conto del negoziato sulla strategia di rilancio.
C’è strategia da parte dei frugali che intende ritardare l’approvazione del recovery fund. Un politica tipica dei Paesi Bassi e dei loro alleati, che non hanno tanto interesse che il meccanismo per la ripresa diventi operativo. Un ostruzionismo bollato come “molto gradevole” da alcuni addetti ai lavori. Ed è in questo clima che i leader si ritroveranno attorno al tavolo domani e dopodomani (1 e 2 ottobre) per cercare accordi. Si parlerà di altro per non affrontare i veri problemi dell’Unione europea, che sono certamente anche quelli di politica estera ma che in questo momento sono più legati a rapporti di fiducia interni anche più che incrinati.
La prima giornata di vertice ha già tutte le risposte al problema. Sulla Cina confermata la linea di una cooperazione con Pechino basata su dialogo e sanzioni in caso di mancata reciprocità; sul Nagorno-Karabakh deciso il richiamo alla cessazione delle ostilità; sul caso Navalny appello a inchiesta internazionale; sulla Bielorussia l’UE è pronta a ribadire una volta di più che non riconosce i risultati delle elezioni, che servono nuove consultazioni, che si sostiene la società civile e si è pronti a procedere con le sanzioni mirate.
Quanto alla seconda giornata di vertice, su mercato interno, politica economico-industriale economica e digitale il testo di conclusioni è già consolidato. Vuol dire che manca solo l’approvazione formale dei capi di Stato e di governo. Ecco che il vero nodo da sciogliere tra i punti all’ordine del giorno è quello turco. Con il fondo di ripresa a esacerbare gli animi e lì a raffigurare le contraddizioni europee.