Bruxelles – Il Parlamento europeo non cede, e anzi ribadisce la posizione di forte contrarietà su quello che gli Stati membri hanno in mente per il funzionamento dell’UE. Sul bilancio di lungo termine (MFF 2021-2027) si rischia, a oggi, lo scontro istituzionale con il Consiglio. Il prossimo round negoziale è previsto la prossima settimana (5-8 ottobre), ma intanto gli europarlamentari mandano un messaggio ai leader.
I capi di Stato e di governo avrebbero dovuto riunirsi la settimana scorsa, ma a titolo precauzionale il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha dovuto mettersi in quarantena e riconvocare il summit, per domani e dopodomani (1 e 2 ottobre). I Ventisette sono chiamati a discutere, tra i vari punti, anche di Next Generation EU, il pacchetto per la ripresa. Oggi (30 settembre) il gruppo di contatto per il bilancio pluriennale del Parlamento ha ribadito che “contrariamente a quanto affermato dal Consiglio, la strategia per la ripresa e il bilancio settennale non sono collegati”.
Prima ancora di entrare nel merito degli ammontare di spesa, si mettono le cose in chiaro. “Il Piano di ripresa richiede una decisione sulle risorse proprie, peraltro già presa dal Parlamento, ma non ha bisogno di un accordo sul quadro finanziario pluriennale“, fanno sapere dall’istituzione europea direttamente eletta, dove il clima di insofferenza è palpabile. Il clima di frustazione è tale da aver indotto l’organismo parlamentare direttamente responsabile, la commissione Bilancio, a fornire chiarimenti con tanto di grafici su negoziato e posizioni.
#MFF/#OwnResources negotiations are heating up – some clarifications: EP has already made major concessions to @EUCouncil on future EU financing. @EU2020DE now has to match Parliament’s moves to break the deadlock. #Recovery #EUbudget 1/4 pic.twitter.com/Fu7JPLAs1X
— BUDG Committee Press (@EP_Budgets) September 28, 2020
(clicca sul tweet per visualizzare l’inter thread)
In questo momento prevale la logica delle accuse reciproche. Si ripete che è il Consiglio, e dunque gli Stati membri, ad alimentare “la storia” secondo cui sarebbero gli europarlamentari la causa di ritardo nell’approvazione del Piano di ripresa, su cui però frenano i governi di Polonia e Ungheria per il meccanismo sullo stato di diritto. E poi, “la Presidenza tedesca insiste” nel mantenere MFF e Next Generation EU come pacchetto. Che in Consiglio, nel giorno delle nuove critiche del Parlamento, continuano a trattare come un unico dossier.
Il Parlamento lamenta poi l’assenza di trattative. Si ricorda che sin qui il Parlamento ha già fatto concessioni importanti. Si voleva un bilancio di lungo termine da 1.300 miliardi di euro, ha accettato 1.074 miliardi a patto che nel momento in cui il meccanismo della ripresa si interromperà (2024) si aggiungeranno altre risorse. I parlamentari erano contrari all’idea di mantenere i ‘rebates’, i rimborsi per il contributo al bilancio di cui godono Danimarca, Austria, Svezia e Paesi Bassi. Ancora, sono disposti ad accettare alcuni tagli di spesa su alcune voci. Si lamenta una mancanza di concessione dall’altra parte. “Questo non è un negoziato”.
Il clima non è dei migliori. Fin qui le trattative inter-istituzionali “sono ad un binario morto” senza ancora essere entrati nel dettaglio. Entrando nel merito, l’Eurocamera ribadisce la linea adottata fin qui: accordo sì, ma non a tutto i costi. Miglior risultato possibile al nette delle trattative, ma non a scapito delle priorità politiche fondamentali. Prime fra tutti gli investimenti strategici. Per la speciale voce di spesa “investEU” il Parlamento chiedeva almeno 14,1 miliardi di euro, gli Stati hanno optato per 8,1 miliardi, vale a dire il 40% in meno rispetto al livello di investimenti per l’attuale esercizio arrivato a fine ciclo (2014-2020). “Tagli significativi” a che si chiede di rivedere poiché altrimenti “si renderebbe più difficile” il raggiungimento degli obiettivi di transizione verde e digitale.
Altro nodo quello della ricerca. IL Parlamento vorrebbe non meno di 120 miliardi di euro, i governi ne mettono sul piatto 80,9 miliardi. Una differenza di 40 miliardi considerata eccessiva, “in contraddizione” anche qui con l’agenda dell’UE e le priorità fissate per verde e digitale.
C’è poi la ‘bomba a orologeria’ rappresentata dal Fondo per la transizione giusta, quella per la riconversione verso modelli più sostenibili dell’economia, i cui fondi sono concepiti per le regioni. Il Parlamento è a favore di 40 miliardi, i leader lo scorso luglio hanno più che dimezzato le aspettative dei parlamentari (17,5 miliardi). Con queste scelte, lamentano gli europarlamentari, sarebbe compromesso uno dei fondamenti del Green Deal europeo, senza contare che “le ripercussioni politiche potrebbero essere gravi, come il rischio di dinamiche da gilet gialli“.
La lista non finisce qui. Si contestano i tagli al programma ‘Europa digitale’ (Il Parlamento vuole 8,2 miliardi, il Consiglio ne propone 6,8) alle politiche delle grandi reti (trasporti e telecomunicazioni, tagliati di 7,7 miliardi), sanità (-1,7 miliardi), e i tagli a Erasmus+ (21,2 miliardi, mentre il Parlamento ne chiedeva praticamente il doppio, 41,1 miliardi).
La situazione non è cambiata, né la linea del Parlamento europeo che attende i negoziatori del Consiglio al tavolo. Si vuole mettere pressioni ai leader su un tavolo che rischia però di saltare. In quel caso l’UE comunque continuerebbe comunque a funzionare. In base alle regole, senza un accordo si ha un’estensione tecnica del bilancio annuale all’anno successivo. Vuol dire che il bilancio 2020 si applica con gli stessi montanti al 2021. C’è tempo fino al 31 ottobre per evitare questo scenario, ma allo stato attuale le cose non promettono bene.