Bruxelles – Non è un piano perfetto. Lo ammettono i due commissari europei per gli Affari interni, Ylva Johansson, e per la promozione dello stile di vita europeo, Margaritis Schinas, confrontandosi con i deputati della commissione per le libertà civili del Parlamento europeo sulla proposta di Patto per l’immigrazione e l’asilo presentata ieri (23 settembre). Non è un piano perfetto, e in poche ore ha già attirato diverse critiche, ma è ciò che più realisticamente si avvicina ad un buon compromesso per gli Stati membri, chiamati a dare il via libera definitivo alla proposta.
Il piano della Commissione europea, ricordano ai deputati, è frutto di due cicli di consultazioni (fisiche e telematiche, per via della pandemia in corso) con gli Stati membri presso i loro Paesi, ma anche in visita presso i Paesi terzi con cui l’UE mira a consolidare partnership più fidate per poter attuare in maniera più performante il processo di rimpatrio per chi sicuramente non ha diritto a fermarsi sul territorio europeo. La proposta punta più che sulla obbligatorietà dei ricollocamenti a rafforzare l‘efficacia dei rimpatri, per arrivare a una situazione in Europa con “meno arrivi irregolari e più legali” e quindi “per questo abbiamo bisogno di rotte legali per i migranti che contribuiscono alla nostra economia e i rifugiati che hanno bisogno di protezione internazionale”. L’anno scorso, ha ricordato la commissaria, ci sono stati 140 mila arrivi irregolari, di cui un terzo era composto di rifugiati.
Ma ce ne sono tanti che invece fanno regolare richiesta d’asilo in uno dei Paesi membri dell’Unione e che vengono accettati. Lo scorso anno, dice Johansson, più di 3 milioni di rifugiati hanno fatto domanda d’asilo in Unione europea e sono riusciti a ottenere il permesso di residenza e di questi oltre un milione sono venuti in Europa per lavorare, portano contributi all’economia europea. Anche l’UE è interessata dal fenomeno dell’emigrazione e secondo le stime della Commissione europea lo scorso anno almeno un milione di persone ha lasciato l’Unione europea. Questo per sottolineare che l’immigrazione serve all’Unione europea, dove la popolazione invecchia significativamente, le nascite sono in diminuzione e anche gli europei scelgono di andarsene.
Quest’anno, complici le misure restrittive imposte per il Covid-19, le domande d’asilo in UE sono in netta diminuzione: nel secondo trimestre 2020, circa 46.500 richiedenti asilo hanno presentato domanda di protezione internazionale in UE, cifre in calo del 69 per cento rispetto alle 150.100 registrate nel primo trimestre dello stesso anno e del 68 per cento rispetto al secondo trimestre del 2019 (143.700 domande). Coloro che possono rimanere in Europa “devono essere accolti”, ricorda la commissaria europea, “abbiamo bisogno dei migranti e ci dobbiamo assumere la responsabilità per i rifugiati che arrivano”. Le migrazioni “ci sono e ci saranno sempre”, aggiunge. E fanno parte anche della “prosperità del nostro continente”. Ma coloro che hanno diritto di rimanere devono essere non solo accolti, ma anche integrati negli Stati europei. A tal proposito la Commissione europea, annuncia senza fornire maggiori dettagli sul tema, nei prossimi mesi presenterà una strategia europea per l’integrazione di coloro che possono regolarmente rimanere su suolo europeo.
In questo primo confronto con la commissione per le libertà civili del Parlamento sono emerse varie criticità della proposta dell’Esecutivo. Per la maggior parte degli eurodeputati il nuovo patto sulla migrazione è “insufficiente”, soprattutto nell’assenza di un sistema di ricollocamento obbligatorio dei rifugiati e di quote fisse per gli Stati membri per quanto riguarda redistribuzione e accoglienza. Molti criticano il non superamento del principio secondo cui gran parte degli oneri andranno a ricadere comunque sul Paese di primo ingresso, dunque il più delle volte Italia, Grecia, Spagna e Malta. Altri vogliono una posizione più ferma sugli arrivi irregolari. Insomma, sono emerse diverse perplessità molte delle quali si concentrano su un meccanismo di solidarietà che è definito obbligatorio, ma che in realtà non lo è e che soprattutto non è automatico per gli Stati. Per molti, come ribadito anche ieri, si tratta di un buon punto di partenza, ma c’è ancora molto su cui lavorare nei prossimi mesi.