Bruxelles – Niente è cambiato. Passano gli anni, ma per ogni secondo che scocca sull’orologio 3 piccoli maiali in Europa subiscono una delle pratiche più violente ai danni di un animale: la castrazione chirurgica senza anestesia. Sono quasi 10.000 all’ora. 80 milioni complessivamente nel corso di un anno solare. Lo conferma la Federation of Veterinarians of Europe (FVE), associazione che rappresenta circa 300.000 veterinari in tutta Europa: “È un importante problema di benessere degli animali e non è assolutamente coerente con una visione di allevamento sostenibile”, denuncia la vice-direttrice esecutiva, Nancy De Briyne.
Ma se in linea teorica la castrazione senza anestesia non dovrebbe avere luogo sul suolo dell’Unione Europea, questo non esclude il fatto che solo a 2 suini su 5 venga concesso un trattamento civile. In nessuna delle legislazioni degli Stati membri è stata ancora recepita la direttiva (fatta eccezione per Germania e Francia, che l’hanno annunciato rispettivamente per l’inizio e la fine del 2021), perciò secondo le normative nazionali questa pratica non è strettamente illegale.
Ecco perché si sta facendo sempre più strada in Europa l’idea di aggirare il problema e abbandonare del tutto l’uso della castrazione chirurgica. L’alternativa è una modalità diversa nel metodo, ma uguale nei risultati: l’immunocastrazione, il trattamento attraverso vaccinazione, come pratica di allevamento biologico. In particolare dalla Germania, dove dal 1° gennaio 2021 la castrazione senza anestesia sarà vietata, sta soffiando un vento nuovo su questo tema e presto il Consiglio dell’Unione Europea, con la presidenza tedesca, potrebbe tenerne conto.
Una pratica disumana
Associare la castrazione chirurgica senza analgesia e anestesia con la castrazione chirurgica tout court è in realtà un errore profondo. Le indicazioni dell’Unione Europea sono precise: la castrazione dei suini maschi è soggetta alla direttiva 2008/120/CE, in base alla quale un veterinario deve eseguirla in anestesia ed effettuare un’ulteriore analgesia prolungata dopo il settimo giorno di vita del maialino. Quello che succede nella pratica è però ben lontano dalla normativa europea.
Come dimostrato da un report di esperti del settore (tra cui anche la Federation of Veterinarians of Europe e l’Eurogroup for Animals), solo a poco più di 8 milioni di esemplari ogni anno viene riservato un trattamento civile. La popolazione di nuovi suini in Europa si attesta attorno a 135 milioni all’anno. Stiamo quindi parlando del 6% sul totale di maialini che devono subire un qualche tipo di castrazione. Quelli che non ricevono nessun trattamento sono il 59%, il restante 35% ne riceverà solo una tra anestesia o analgesia.
Ma per quale ragione i piccoli suini devono essere castrati? Come spiega uno studio di IPEMA (International Play Equipment Manufacturers Association), il motivo è da ricercare nella presenza di odore sessuale (anche detto odore di verro) nei suini maschi, sgradevole al gusto e all’olfatto quando si cucina e si mangia la carne di maiali non castrati. La castrazione impedisce la conservazione di ormoni (androstenone e skatole) nel tessuto adiposo degli animali in crescita, quindi dei “responsabili” dell’odore. La castrazione è inevitabile ai fini della sostenibilità di una filiera alimentare basata sulle eccellenze della carne di suino, soprattutto DOP italiani. Quello che però può essere deciso è il livello di umanità da riservare agli animali: castrazione chirurgica con anestesia e analgesici, senza nessun trattamento o immunocastrazione.
I vantaggi del vaccino
È proprio la Federation of Veterinarians of Europe a spingere con forza per il riconoscimento della tecnica dell’immunocastrazione come migliore soluzione in questo settore. Il 6 agosto 2020 è stato pubblicato un position paper in cui vengono elencate le motivazioni per cui l’immunocastrazione possa rientrare tra le condizioni dell’allevamento biologico: “Prima di tutto, è migliore per il benessere degli animali rispetto a quella chirurgica, che viene regolarmente utilizzata nell’allevamento biologico. Poi è simile ad altri trattamenti che agiscono sul sistema immunitario, come le vaccinazioni”.
La vice-direttrice De Briyne sottolinea anche un altro fattore-chiave: “L’immunocastrazione è superiore perché è reversibile, mentre la castrazione chirurgica è permanente. Ma soprattutto è un vaccino e non un trattamento ormonale“. Questo significa che non c’è alcun tipo di rischio di rilascio di sostanze residue potenzialmente nocive per la salute dei consumatori di carne di maiale.
Il vaccino stimola i piccoli suini a formare anticorpi contro il proprio ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH), con il risultato di una temporanea soppressione della funzione testicolare. In pratica quello che succede è esattamente la stessa cosa della castrazione chirurgica, cioè l’eliminazione di ormoni che causano l’odore sessuale. “Sbagliando, alcuni credono che l’immunocastrazione non sia compatibile con l’allevamento biologico, ma la rimozione chirurgica delle gonadi influisce in modo molto simile sugli ormoni riproduttivi del maiale”, spiega ancora la vice-direttrice di FVE.
E c’è di più. La principale obiezione delle associazioni dei trasformatori delle carni è che sarebbe impossibile commercializzare suini che abbiano subito trattamenti con farmaci di questo tipo, perché la qualità andrebbe calando e i consumatori li rifiuterebbero. “Questo è totalmente errato”, puntualizza De Briyne. “Lo ha dimostrato anche lo studio di IPEMA, che prevedeva un capitolo sull’opinione dei consumatori. Hanno rilevato un alto livello di accettazione per l’immunocastrazione, quasi il 70%“.
Un appoggio a FVE arriva dall’organizzazione internazionale Compassion in World Farming. “È eticamente inaccettabile continuare con la castrazione chirurgica quando un’alternativa indolore esiste da anni”, accusa il chief policy advisor, Peter Stevenson. “L’immunocastrazione consiste in due semplici iniezioni di vaccino, in due momenti diversi della vita del suino”. Analizzando i dati sulla pratica della castrazione attraverso vaccino, Stevenson fa notare che pochi Paesi al mondo si stanno attrezzando. Tra questi in Europa c’è il Belgio, con una percentuale ferma però al 15%: “È tempo che il settore dell’allevamento europeo si muova in questa direzione”, conclude.
Pressione sulle istituzioni europee
“Il termine per la Dichiarazione europea sulle alternative alla castrazione chirurgica dei suini era gennaio 2018. Due anni dopo vediamo alcuni progressi almeno a livello di mentalità generale, ma gli atteggiamenti dei diversi Stati membri sono ancora troppo diversi”, commenta Elena Nalon, consulente veterinaria per Eurogroup for Animals. “In molti Paesi il tema della castrazione chirurgica non è nemmeno percepito come un problema urgente. Eppure i cittadini europei non tollerano il pensiero di mutilazioni inflitte senza preoccuparsi di alleviare il dolore degli animali”. Per dimostrare questo fatto, Nalon cita il “più di un milione di firme raccolte nel 2019 tra i cittadini dell’Unione Europea” che ha chiesto alla Commissione e ai ministeri nazionali competenti di “far rispettare la direttiva sui suini e vietare tutte le mutilazioni dolorose”.
Esiste però un Paese europeo in cui questo tema sta entrando davvero nel dibattito pubblico: la Germania. In una conferenza a Berlino del 27 agosto 2020 i rappresentati dei Länder hanno cercato di trovare una linea comune per far approvare l’immunocastrazione come pratica di allevamento biologico. Le posizioni si sono divise proprio sullo scoglio della posizione dell’UE: i ministri dell’Agricoltura di Brandeburgo, Brema, Amburgo, Bassa Sassonia, Renania-Palatinato, Sassonia, Saarland, Schleswig-Holstein e Turingia si sono allineati su una linea di integrazione di questa pratica come alternativa alla castrazione chirurgica nel quadro dell’allevamento biologico. La Baviera e il Baden-Württemberg sono stati più scettici, considerata la valutazione finora negativa dell’Unione Europea.
In ogni caso, “non concependo come l’UE non riconosca questa pratica come compatibile”, l’unico risultato è stato quello di chiedere congiuntamente al ministro federale dell’Agricoltura, Julia Klöckner, di “fare chiarezza sui regolamenti riguardo l’allevamento biologico a livello comunitario, in quanto membro della presidenza tedesca del Consiglio dell’Unione Europea“, hanno dichiarato i ministri dei Länder.
Un sostegno importante a questa azione arriva dalla FVE, che nel suo comunicato dello scorso agosto ha sollecitato il Comitato permanente per l’agricoltura biologica della Commissione Europea a “riconsiderare il suo parere e ad accettare che lìimmunocastrazione sia conforme ai principi dell’allevamento biologico dei suini”.
E infine la pressione su Commissione e Consiglio viene esercitata anche sul fronte interno delle istituzioni, dal Parlamento Europeo. La presidente dell’Intergruppo per il benessere e la conservazione degli animali, Sirpa Pietikäinen, il 9 marzo 2020 si è fatta nuovamente portavoce delle istanze dei progressisti in materia. Con un’interrogazione alla commissaria europea per la Salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, Pietikäinen ha mostrato la necessità di una posizione chiara e vincolante per tutti i Paesi membri: “La carne di animali immunocastrati è sicura per i consumatori. Ma alcuni Paesi come la Cina sembrano ostacolare la diffusione di questa alternativa e ciò ha un impatto sulle pratiche adottate da alcuni agricoltori europei, che sentono di dover tornare alla castrazione chirurgica per poter commerciare con la Cina”.
La risposta della commissaria Kyriakides è stata possibilista, chiarendo che “già nel 2019 la Commissione ha pubblicato uno studio che stabilisce le migliori pratiche sulla produzione, la trasformazione e la commercializzazione di carne di suini non castrati o vaccinati” e che “la Commissione svilupperà ulteriormente la cooperazione in materia di benessere degli animali con le autorità cinesi tenendo però presente la loro sovranità”. Troppo poco, però, per chi chiede che l’immunocastrazione sia l’unica alternativa umanamente accettabile.
La strada per porre fine a trattamenti disumani sui suini è ancora lunga e non può che passare da un’azione più decisa da parte delle istituzioni europee. Sotto la spinta dell’opinione pubblica della Germania e durante il turno di presidenza tedesca al Consiglio dell’Unione Europea (fino al 31 dicembre 2020), i prossimi mesi potrebbero diventare lo spartiacque per i difensori dei diritti degli animali. Perché fra due anni non si debba ancora scrivere “niente è cambiato”.