tBruxelles – È scontro totale tra Unione Europea e Russia sulla questione bielorussa. Con la risoluzione votata giovedì 17 settembre (574 voti a favore, 37 contrari e 82 astenuti) il Parlamento UE si è schierato sulla linea dura nei confronti del presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, in attesa della decisione della Commissione sulle sanzioni contro i responsabili delle irregolarità elettorali. Dal 5 novembre 2020, data della scadenza del mandato presidenziale, l’UE “non riconoscerà Lukashenko come presidente della Bielorussia”.
Ma un passaggio della risoluzione esplicita anche che il Parlamento europeo non tollererà più ingerenze nel Paese da parte del Cremlino: “Lukashenko non ha alcun mandato politico o morale per avviare ulteriori relazioni contrattuali a nome della Bielorussia, comprese le autorità russe, che potrebbero minacciare la sovranità della Bielorussia“. Dall’altra parte della barricata, la Russia non si è fatta trovare impreparata e, con il supporto finanziario e militare al presidente bielorusso, ha già iniziato a sfidare l’Europa: “Le proteste sono state ben organizzate e coordinate da una matrice occidentale visibile“, è la provocazione del Cremlino.
La risoluzione
Il voto a favore del Parlamento Europeo alla risoluzione sulla Bielorussia non stupisce, né per il risultato per i contenuti approvati. Quello che colpisce sono le parole secche con cui viene silurato il presidente bielorusso, a favore invece del Consiglio di coordinamento dell’opposizione: “Le elezioni presidenziali tenutesi in Bielorussia il 9 agosto si sono svolte in flagrante violazione di tutti gli standard internazionali” e per questo il Parlamento, partire dal 5 novembre, data di scadenza del mandato dell’attuale presidente, “riconosce Sviatlana Tsikhanouskaya presidente eletta e leader ad interim fino a quando non avranno luogo le nuove elezioni”. La richiesta del Parlamento è quella che “le nuove elezioni si svolgano il prima possibile sotto la supervisione internazionale”.
Affrontando la situazione attuale nel Paese, gli europarlamentari hanno condannato “le continue intimidazioni e l’uso sproporzionato della forza nei confronti di manifestanti pacifici” e hanno richiesto con urgenza “il rilascio immediato e incondizionato di tutti coloro che sono stati arbitrariamente detenuti prima e dopo le false elezioni del 9 agosto, compresi Pavel Sevyarynets, Mikalaj Statkievich, Maria Kalesnikova, Andrei Yahorau, Irina Sukhiy, Anton Radniankou e Ivan Krautsou”. In aggiunta, hanno preteso che “tutte le azioni penali per motivi politici siano sospese”.
Il Parlamento inoltre “sostiene fermamente le sanzioni dell’UE contro le persone responsabili di violenza, repressione e falsificazione dei risultati delle elezioni, compreso Alexander Lukashenko” e “sottolinea che, fintanto che la situazione politica non cambia, tutte le erogazioni in corso dell’assistenza finanziaria dell’UE devono essere sospese”.
Per quanto riguarda la posizione degli eurodeputati italiani, la Lega si è astenuta, mentre si sono schierati a favore del testo il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Fratelli d’Italia.
Un anticipo di quanto sarebbe accaduto oggi lo si aveva già avuto durante il discorso sullo stato dell’Unione della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, del 16 settembre. “Voglio dirlo forte e chiaro: l’Unione Europea è dalla parte del popolo bielorusso. Siamo stati tutti commossi dall’immenso coraggio di coloro che si riuniscono pacificamente in Piazza Indipendenza o prendono parte alla marcia delle donne senza paura”, aveva esordito sulla questione von der Leyen. Aveva poi affondato il colpo contro Lukashenko: “Le elezioni che li hanno portati in piazza non sono state né libere né eque. E da allora la brutale risposta del governo è stata vergognosa“. Con una considerazione finale che sapeva di accusa velata alla Russia di Putin: “Il popolo bielorusso deve essere libero di decidere da solo il proprio futuro. Non sono pezzi sulla scacchiera di qualcun altro“.
Il muro russo
Mentre la presidente von der Leyen pronunciava il suo discorso, il ministro della difesa russo, Serghiei Shoigu, era in visita a Minsk a capo della delegazione del Cremlino “per discutere di cooperazione militare con la Bielorussia”. L’appoggio della Russia era già diventato esplicito lunedì 14 settembre quando, nel corso di un summit con il presidente Putin a Sochi, Lukashenko aveva ottenuto la promessa di un prestito di 1,5 miliardi di dollari per “progetti comuni in ambito commerciale, economico, energetico, culturale e umanitario”. Agli osservatori internazionali non è bastato molto per riconoscere questo come il primo mattoncino della strategia russa di controllo della situazione in Bielorussia: se la repressione delle proteste anti-Lukashenko (che vanno avanti ininterrottamente dal giorno delle elezioni contestate) ha un costo, Mosca è disposta a sostenerlo per non perdere un alleato prezioso.
La strategia è continuata con più decisione ieri (16 settembre), quando è arrivata la decisione di programmare nuove esercitazioni militari congiunte tra le forze dei due Paesi a ottobre (circa 130 in totale), nel programma Fratellanza Slava 2020. Non solo: “Ho chiesto al presidente Putin di fornire alcuni tipi di armi alla Bielorussia“, ha dichiarato Lukashenko. “Gli ultimi sviluppi hanno dimostrato che è necessario difendere gli interessi sia dei bielorussi che dei russi in modo più coraggioso”. Un attacco non molto velato sia all’opposizione interna, ma soprattutto alle potenze occidentali, Unione Europea in primis. Il capo dei servizi segreti stranieri russi, Sergey Naryshkin, ha rincarato la dose: “Gli eventi bielorussi hanno una matrice occidentale chiaramente visibile. Le proteste sono state ben organizzate e coordinate dall’estero fin dall’inizio”.
La situazione dell’opposizione
È sempre più delicata la condizione del Consiglio dell’opposizione bielorussa. Nonostante le proteste nelle strade di Minsk e di altre città del Paese continuino senza sosta, il direttorio si trova ormai decapitato di quasi tutti i suoi membri: solo la premio solo la premio Nobel per la letteratura Svetlana Alexievich non è ancora stata rapita, costretta all’esilio forzato o volontario per evitare l’arresto.
La leader anti-Lukashenko, Maria Kolesnikova, rapita il 7 settembre, scampata all’esilio forzato Ucraina e arrestata per “tentata usurpazione del potere”, è stata incriminata e ora rischia tra i due e i cinque anni di carcere. Accusata ai sensi dell’articolo 361 del Codice penale bielorusso di “invocare azioni che minacciano la sicurezza nazionale”, Kolesnikova si trova nel carcere di Zhodino, dopo essere stata trasferita prima dalla frontiera di Mozyr e poi dal carcere di Minsk.
Intanto l’ex candidata alle presidenziali, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha dichiarato al quotidiano ucraino Sponda Sinistra che l’opposizione bielorussa sta preparando una lista di sanzioni contro Lukashenko e il suo establishment: “Ci stiamo lavorando, ma ci sono molte questioni che dobbiamo risolvere. Non solo Maria Kolesnikova, ma anche Serghei Tikhanovsky, Viktor Babariko e tutti i prigionieri politici detenuti in carcere”. Questa decisione è arrivata dopo che l’opposizione ha constatato il fatto che il governo bielorusso non prenderà posizione contro l’elezione del presidente Lukashenko: “Ci aspettavamo un appoggio. Ora vediamo che sono necessari decisioni più radicali”, ha concluso.
Media e regime
Nella risoluzione del Parlamento Europeo viene anche esplicitata la condanna alla “soppressione di Internet e dei media, nonché l’intimidazione di giornalisti e blogger al fine di interrompere il flusso di informazioni sulla situazione nel Paese”. Proprio la questione dello stato dell’informazione all’interno e verso l’esterno della Bielorussia sta diventando sempre più urgente per le istituzioni europee. Fonti UE parlano di “controllo statale sui media in ottica pro-Cremlino, che paventa il ruolo della NATO come minaccia imminente ai confini del Paese”. Solo nel 2020 si sarebbero verificati 288 casi di violazione dei diritti dei giornalisti e 19 reporter stranieri fermati e impediti nel loro lavoro.
Mosca starebbe influenzando questo processo, “con il supporto di organi di informazione come Russia Today e l’agenzia di stampa Sputnik, che spingono i servizi locali bielorussi a sposare completamente una visione anti-Unione Europea quasi più di quanto non faccia il controllo statale in Russia”, continuano le fonti UE. Questa disinformazione viene contrastata dalle opposizioni e dagli organi di informazione indipendenti, che sfruttano i social media (anche se ormai il governo di Minsk sta stringendo sempre più il controllo) e app di comunicazione come Telegram: NEXTA Live, il principale canale, ha più di 2 milioni di iscritti, “con centinaia di migliaia di persone provenienti da diversi Paesi dopo gli avvenimenti del 9 agosto. Una copertura record nella storia di Telegram”, viene puntualizzato sulla chat.
European Parliament adopted a resolution on Belarus:
▪️ EP won't recognize Lukashenko as President of Belarus
▪️ EP considers Tikhanovskaya and the Coordination Council interim representation of the people
▪️ EP calls for personal sanctions against those responsible for violence pic.twitter.com/5i6vfGmm1n— NEXTA (@nexta_tv) September 17, 2020
In un intervento alla conferenza virtuale organizzata dai Verdi europei, il giornalista e analista politico bielorusso Franak Viačorka (che vive e scrive da Minsk) ha spiegato quale deve essere il ruolo dei media non solo nel Paese, ma anche di quelli europei e occidentali: “Non bisogna abbassare l’attenzione sulle interferenze russe, perché senza supporto finanziario e militare il sistema non reggerà a lungo. Anche se non ama Lukashenko, il Cremlino lo sostiene perché non può accettare una Bielorussia democratica”. Una seconda indicazione riguarda invece il sostegno mediatico alle proteste: “Quella dei manifestanti è una rivoluzione gentile. Non stanno usando violenza, non cercano mai lo scontro con la polizia. È vero, tutti prima o poi si stufano di qualcosa che non porta risultati, ma in Bielorussia si respira ottimismo. Ecco perché non dovete lasciarci soli e continuare a raccontare cosa succede dentro i confini del nostro Paese”.