Bruxelles – Trova posto la politica estera nel discorso di Ursula von der Leyen pronunciato oggi al Parlamento europeo in plenaria a Bruxelles, anche se non convince negli impegni concreti che l’UE si assumerà nei prossimi mesi. Dopo un’estate e un’annata che hanno messo a dura prova l’Unione e la sua capacità di rispondere a teatri di crisi che si svolgono anche solo alle porte del suo territorio, le parole della presidente della Commissione suonano ancora una volta come una dichiarazione di intenti.
Per la presidente dell’Esecutivo è senz’altro forte l’esigenza di “costruire il mondo in cui vogliamo vivere” oltre i confini dell’UE e di rifuggire da una retorica autoreferenziale all’insegna di “Europe First”. Lodevole il fatto che l’Europa intenda sì essere la prima, ma nel “rispondere in modo affidabile al momento del bisogno”. E’ in questo spirito che durante la pandemia ha inviato dispositivi di protezione e aiuti nei Paesi extra-UE e in tutto il mondo, e in questo senso è da intendere il rifiuto di qualsiasi “nazionalismo dei vaccini” (un riferimento non troppo velato al vaccino proposto dalla Russia di Vladimir Putin?). La via, ancora una volta, è la cooperazione che si rispecchia nell’adesione dell’UE allo strumento globale COVAX e nel contributo di 400 milioni di euro per rendere i vaccini disponibili a tutti, fuori e dentro l’UE. Per non parlare dei 16 miliardi raccolti con OMS, G20 e società civile per la ricerca medica, i test e le cure nel mondo.
Fatto salvo l’impegno naturale con l’ONU, è la stessa Ursula von der Leyen a lamentare tuttavia un indebolimento del sistema multilaterale, da riformare nel senso di un “cambiamento progettuale, non tramite la distruzione“, dando all’Europa un ruolo di primo piano nel mondo.
Richiamando il vertice tra UE e Cina, “partner negoziale, competitor economico e rivale sistemico”, siamo con lei quando afferma che con il Paese asiatico abbiamo interessi in comune, uno fra tanti il cambiamento climatico. E con lei anche quando, con equilibrio ma determinazione, non esita a sottolineare che però l’Europa crede “nel valore universale della democrazia e dei diritti dell’individuo” e che sarà sempre presente nel denunciare violazioni dei diritti umani come nel caso degli uiguri e di Hong Kong. Eppure l’Europa in questi casi è “troppo lenta”, lamentano gli stati membri. Rilancia allora la capa dell’Esecutivo: “siate coraggiosi e passate finalmente al voto a maggioranza qualificata anche su diritti umani e attuazione delle sanzioni”.
A metà discorso giunge via tweet l’apprezzamento di Guy Verhofstadt (Renew Europe, Belgio) che plaude all’impegno della presidente dell’Esecutivo di promuovere una legge Magnitsky nell’UE, come richiesto più volte dal Parlamento europeo negli ultimi anni. Concepito dagli Stati Uniti nel 2016, il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act permette al governo di imporre sanzioni mirate (congelamento dei beni e rifiuto del visto d’entrata nel Paese) ai responsabili di violazioni dei diritti umani e di gravi atti di corruzione in qualsiasi Paese nel mondo. Una legge simile, applicata anche entro i confini dell’UE, diverrebbe un deterrente per i governi dei Paesi non democratici che hanno commesso gravi violazioni delle norme internazionali sui diritti umani, facendo appello sul senso di responsabilità di fronte ai propri cittadini e alla comunità internazionale.
Un richiamo forte e necessario dunque alla situazione di alcuni paesi europei come l’Ungheria, la Polonia e la Bulgaria, negli ultimi mesi teatro di violenze nei confronti di manifestanti pacifici e di membri della stampa. Ma anche alla Bielorussia dove, senza mezzi termini, si sono svolte “elezioni né libere né giuste”. E alla Russia, che con l’avvelenamento di Alexej Navalny ha ripetuto “lo stesso modello già visto in Georgia e Ucraina, Syria e a Salisbury, nonché nell’ingerenza elettorale in più paesi”.
Altrettanto forti sono le parole sulla Turchia, con cui “le distanze sembrano aumentare sempre più”, specie dopo gli ultimi tentativi di intimidazione nei confronti di Grecia e Cipro. Il riferimento è allo spiegamento di navi da esplorazione turche nel Mediterraneo orientale, ora rientrato, che rischiava di scatenare una escalation ai danni della sovranità di due stati membri UE, che potranno “sempre contare sulla piena solidarietà dell’Unione”.
Un’Unione che è pronta a “costruire una nuova agenda transatlantica” a prescindere dall’esito delle presidenziali americane. UE e Stati Uniti sono destinati, per Ursula von der Leyen, a “riformare insieme il sistema internazionale che insieme hanno costruito”.
Amarezza nelle parole del capo dell’Esecutivo nel constatare che arrancano le trattive con il Regno Unito per un accordo che rispetti il 31 ottobre come limite di tempo massimo per arrivare a un accordo sui rapporti post-Brexit. Soprattutto che mantenga i risultati già raggiunti, ovvero garantire i diritti dei cittadini UE e britannici, gli interessi finanziari, l’integrità del mercato unico e l’accordo del Venerdì Santo.
I Balcani occidentali, “parte dell’Europa, non una semplice tappa sulla Via della Seta”, sono tra le preoccupazioni principali della Commissione, che presto presenterà un pacchetto per la ripresa che prevede diverse misure, anche per la creazione di nuovi posti di lavoro e il consolidamento delle economie. Anche con i paesi del partenariato orientale sono in programma misure simili.
In materia di migrazione, sulla quale l’UE non è finora stata in grado di dare una risposta a 27, il capo dell’Esecutivo UE annuncia il nuovo patto per l’immigrazione che verrà lanciato la prossima settimana, all’insegna di un “approccio umano e umanitario”. “Salvare vite umane non è una scelta” e i paesi più esposti ai flussi migratori devono ricevere “la solidarietà di tutta l’UE”, poiché si tratta di “una sfida europea”.
Lo stato di diritto, nominato più volte durante l’allocuzione di von der Leyen, sarà senza dubbio una priorità dei prossimi mesi del suo mandato. A fine mese la Commissione pubblicherà il primo rapporto annuale sullo stato di diritto, inteso come forte strumento di prevenzione “per individuare tempestivamente sfide e soluzioni”. Sarà impegno dell’Esecutivo fare in modo che “le risorse del bilancio e NextGenerationEU vengano protetti da frodi, corruzione e conflitti di interesse”.
Non si pronuncia la presidente della Commissione in merito ai bombardamenti in corso nella striscia di Gaza né sul Libano, è debole su Siria e Medio Oriente. Forse perché questi temi saranno all’ordine del giorno del Consiglio straordinario sul Mediterraneo orientale, in programma per il 24 e 25 settembre prossimi.
Diverse le reazioni dagli eurodeputati sui punti di politica estera evocati da von der Leyen. Dacian Ciolos, capogruppo di Renew Europe, auspica una UE che “non tentenna davanti a un primo ministro britannico confuso e disorientato, un leader turco in preda alla febbre nazionalista e un Putin determinato a seminare discordia”.
Anche dal capogruppo del PPE Manfred Weber la constatazione forte che “l’ideale della libertà si sta spostando a est e nessuno può fermarlo.
Sandro Gozi (Renew Europe, Francia) è ottimista sulle relazioni con i partner occidentali, ma “l’Europa deve sviluppare la propria autonomia per avere un ruolo di primo piano nel mondo e difendere i propri interessi, anche da sola”. In materia di immigrazione e di asilo, “tocca alla Commissione spingere i governi di abbandonare gli egoismi nazionali e sbloccare i negoziati”.
Ska Keller (capogruppo Verdi, Germania) chiede alla presidente di non voltare le spalle ai profughi ed evitare quanto accaduto a Moria, evento che von der Leyen ha ricordato nel suo discorso.
Sulla una linea antitetica è Nicolas Bay (Europa delle Nazioni e della Libertà, Francia) che interviene e twitta con foga “Dov’è l’UE di fronte al diritto d’asilo che è diventato una legalizzazione dell’immigrazione irregolare? Dov’è l’Ue davanti alla Cina o davanti alla Turchia sovvenzionata coi soldi dei contribuenti europei e che calpesta i diritti dei suoi stessi abitanti?”
Laura Ferrara (NI, Italia), infine chiede in materia di immigrazione “un meccanismo automatico ed obbligatorio che preveda un’equa responsabilità tra tutti gli stati membri”.