Bruxelles – L’obiettivo della Commissione europea rimane quello di raggiungere la neutralità climatica del continente entro il 2050. Dovranno cambiare però le modalità con cui l’Europa intende inseguire l’idea di una completa rivoluzione verde per arrivare a metà secolo con un continente a zero emissioni nette. La Commissione europea si è impegnata nella sua legge europea sul clima, pubblicata lo scorso 4 marzo, ad adeguare i suoi obiettivi climatici “intermedi” al 2030, per accelerare la completa decarbonizzazione entro il 2050.
In linea con gli accordi di Parigi sul clima, l’obiettivo attuale dell’UE (fissato nel 2014) è quello di ridurre le emissioni di gas serra del 40 per cento al 2030 rispetto ai livelli del 1990. La Commissione ha promesso di aumentarle fino al 50 o 55 per cento come parte della sua rivoluzione verde, il Green Deal. Secondo fonti parlamentari, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen annuncerà i nuovi obiettivi climatici intermedi il 16 settembre di fronte alla plenaria del Parlamento europeo, nel pronunciare il tradizionale Discorso sullo Stato dell’Unione che spetta annualmente al capo dell’esecutivo europeo.
Sempre fonti parlamentari confermano che von der Leyen opterà tra le due per l’opzione più ambiziosa sul tavolo, portando la sua proposta di riduzione delle emissioni al 55 per cento entro il 2030. Proposta che a quanto pare viene sostenuta anche dal partito al Parlamento europeo di cui von der Leyen fa parte, il Partito popolare europeo, ma che non soddisfa proprio tutti.
Dalle premesse iniziali sembra che un accordo inter-istituzionale non sarà così scontato. Già la presentazione della legge sul clima aveva attirato qualche malumore a Bruxelles, e non solo. La famosa attivista svedese Greta Thunberg l’aveva ridimensionata ad “una dichiarazione di resa” da parte delle istituzioni europee, criticando anche la decisione di rimandare a settembre la presentazione dei nuovi target intermedi. Quanto ai nuovi obiettivi climatici, per il momento anche i gruppi parlamentari all’Europarlamento non sembrano essere tutti d’accordo. Oggi, 10 settembre, si voterà in commissione Ambiente (ENVI) dell’Europarlamento, commissione competente per la legge sul clima, sulla proposta della relatrice Jytte Guteland (S&D) per apportare una serie di modifiche alla legge climatica europea.
Di gran lunga la più importante è la richiesta di adeguare l’obiettivo al 2030 al –65 per cento rispetto alla quota di emissioni registrata nel 1990, con il vincolo che ogni Stato membro raggiunga la neutralità entro il 2050 (mentre nella sua proposta di regolamento, l’esecutivo comunitario specifica che quello della neutralità climatica al 2050 è un obiettivo che dovrà raggiungere l’intera Unione europea e non i singoli Stati membri). Il fronte più progressista dell’Europarlamento, fatto di Socialdemocratici (S&D) insieme ai Verdi e alla sinistra della GUE, sembrano sposare la linea più ambiziosa di Guteland, e dovrebbero votare per un target anche superiore al 55 per cento. I tre gruppi in commissione ENVI fanno 59 seggi su 81 europarlamentari totali e dunque superano la maggioranza.
Il PPE, maggioritario nell’emiciclo e anche in commissione ENVI con 42 seggi, sembra favorevole all’innalzamento degli obiettivi che proporrà von der Leyen. I liberali di Renew Europe dovrebbero sostenere un obiettivo di almeno il 55 per cento, mentre il gruppo dei conservatori e riformisti europei (ECR) si è detto in una nota “preoccupato che la relazione” che sarà votata oggi in ENVI “apporti modifiche alle proposte iniziali della Commissione, trasformandole in un atto simile a un trattato”. Il gruppo ECR teme inoltre “potenziali effetti socio-economici dannosi che la legge sul clima potrebbe avere sulla vita e sui mezzi di sussistenza dei cittadini europei”. Dal gruppo ECR sottolineano che sosterranno il Green Deal europeo “solo se fornirà politiche credibili e realizzabili”.
L’intero Parlamento dovrà poi votare sulla legge clima nella seduta plenaria prevista ad ottobre. Il voto di oggi in ENVI assume un’importanza non trascurabile tanto che a tenerlo d’occhio c’è anche Greta Thunberg. In un post su twitter l’attivista si è rivolta direttamente a Pascal Canfin, presidente della commissione ENVI, invitando gli eurodeputati a sostenere “il target più ambizioso”.
This week the EU Parliament will vote on their 2030 emission target. Though their targets are insufficient -based on incomplete carbon budgets excluding many key aspects (yes, I’m autistic)- it’s absolutely crucial they vote for the most ambitious target.
We’re watching.@pcanfin— Greta Thunberg (@GretaThunberg) September 7, 2020
Già a inizio settimana la legge sul clima ha ricevuto il parere della commissione Industria del Parlamento UE (che non è commissione competente sul tema) che ha sostenuto con 42 voti favorevoli, 31 contrari e 5 astenuti l’obiettivo di -55 per cento delle emissioni al 2030.
Non è da escludere che oggi la commissione all’ambiente voti favorevolmente un obiettivo di almeno il 60 per cento di riduzione per il 2030 per mettere pressione sui capi di stato e governo affinché durante i negoziati trilaterali (in cui in genere si negozia al ribasso) sostengano un obiettivo di almeno il 55 per cento, come richiesto dalla Commissione. Di norma il Parlamento è l’istituzione che spinge per maggiore ambizione in confronto a Commissione e Consiglio, ma l‘accordo finale sull’obiettivo al 2030 sarà raggiunto con un compromesso tra tutti e tre.
I negoziati con gli Stati
Dopo che il Parlamento europeo avrà adottato la sua posizione negoziale, inizierà dunque la parte più complessa: quella dei negoziati trilaterali con Commissione e Consiglio, dove molti governi europei si sono mostrati ancora reticenti nei confronti del raggiungimento degli obiettivi climatici (soprattutto in alcuni paesi dell’Est Europa, come la Polonia, chiamatasi fuori dall’obiettivo di neutralità al 2050). Non è nota, al momento, la posizione di tutti e Ventisette gli Stati membri, né si sa come reagiranno ad un’eventuale proposta di riduzione del 65 o 60 per cento dal Parlamento.
Per il momento sono nove gli Stati membri favorevoli alla riduzione di almeno il 55 per cento al 2030, che verrà proposta dalla presidente la prossima settimana: Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Lussemburgo, Lettonia, Finlandia, Grecia e Francia. I Paesi dell’Europa orientale continuano a insistere sulle loro difficoltà a raggiungere gli obiettivi e dunque chiedono il sostegno dell’UE per la transizione, attraverso il Just Transition Fund. Molti Stati, dicono fonti parlamentari, non hanno ancora reso pubblica la loro posizione perché aspettano da parte della Commissione europea la presentazione della valutazione d’impatto dei costi e benefici dell’innalzamento dei target, attesa entro settembre.
Il nuovo obiettivo climatico doveva essere presentato a marzo insieme alla legge sul clima, poi rimandato a settembre. Il tempo in più doveva servire alla Commissione per capire come adeguare in maniera coerente anche le politiche europee che direttamente o indirettamente riguardano il clima. L’ambizione di una legge europea sul clima è proprio quella di integrare tutte le politiche dell’UE sull’obiettivo di neutralità climatica. Entro l’estate del 2021 la normativa europea sul clima dovrà essere quindi modificata non solo nelle parti riguardanti la riduzione delle emissioni ma anche per quanto riguarda tutte le politiche dell’energia per capire a quali progetti dare finanziamenti e in quali tecnologie investire (esempio: quelle per la cattura e stoccaggio di anidride carbonica saranno fondamentali per la decarbonizzazione).
Perché l’UE doveva rivedere i propri obiettivi per il 2030 entro settembre? In sostanza perché doveva essere preparata per il prossimo vertice delle Nazioni Unite sul clima, la Cop26, originariamente in programma a novembre a Glasgow, che però è stato rimandato al novembre 2021 a causa del Coronavirus. In occasione di questo incontro internazionale, Paesi partecipanti e l’Unione europea stessa dovranno annunciare i loro nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio aggiornate per il 2030.