Bruxelles – Doveva aprirsi simbolicamente lo scorso 9 maggio, giorno in cui si celebra la festa dell’Europa, ma l’avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa e l’ambizione di riformare la democrazia europea dovrà attendere ancora. La pandemia ne ha rallentato i preparativi, costringendo anche le istituzioni a ripensarne l’organizzazione a causa delle norme anti-Covid. Si attendeva una dichiarazione congiunta da parte delle tre istituzioni prima della pausa estiva, per avviare la Conferenza in autunno. Ad oggi, però, le attività istituzionali a Bruxelles sono riprese a pieno regime e della dichiarazione ancora non c’è traccia.
La necessità di seguire i negoziati sul bilancio comunitario pluriennale e sul fondo di ripresa ha fatto sì che l’avvio della Conferenza passasse in secondo piano. “Il tema è ancora sul tavolo”, assicurano fonti diplomatiche italiane. Ma al momento le trattative tra le tre istituzioni sembrano essere in stallo.“Parlamento, Consiglio e Commissione hanno ambizioni diverse”, ha riferito il primo settembre il ministro tedesco agli Affari europei, Michael Roth, in commissione affari costituzionali, interrogato dagli eurodeputati. Ha confermato però l’intenzione della presidenza tedesca di turno al Consiglio UE di avviarla durante il suo semestre (primo luglio – 31 dicembre), anche se non è chiaro a questo punto se riuscirà a partire prima della fine dell’anno. Nelle intenzioni iniziali, la Conferenza dovrebbe avere durata biennale e dopo una serie di valutazioni intermedie, andrebbe a concludersi entro l’estate del 2022, presumibilmente sotto la presidenza francese di turno al Consiglio europeo.
Come di norma, è il Parlamento a insistere su un processo più ambizioso: in una risoluzione votata in plenaria a gennaio, gli eurodeputati hanno espressamente chiesto di mettere i cittadini al centro della Conferenza, dandogli la possibilità di partecipare a un dibattito sul futuro dell’UE. Per il Parlamento, unico organismo di rappresentanza diretta, è fondamentale che a indirizzare i cambiamenti dell’Unione europea siano le direttive dei cittadini stessi, senza escludere la possibilità di riformare anche i Trattati. Per David Sassoli, presidente dell’Europarlamento, l’avvio di una nuova fase costituente per l’Europa deve coincidere con l’avvio di una stagione di riforma. Gli Stati, a livello di ambasciatori, hanno insistito sulla necessità che si concentri “su come sviluppare le politiche dell’UE a medio e lungo termine per affrontare in modo più efficace le sfide che l’Europa deve affrontare”.
Trovare un compromesso su alcune questioni sarà più difficile. Nei mesi trascorsi sono emerse posizioni divergenti su alcuni aspetti organizzativi della Conferenza: tra tutti la leadership e la possibilità di modificare i trattati dell’Unione europea. Come per molte altre questioni, posizioni molto diverse si scoprono tra Parlamento e Consiglio.
La leadership della Conferenza
Parlamento e Consiglio hanno opinioni diverse su chi debba guidare la Conferenza. In sostanza il primo chiede che il “consiglio esecutivo di coordinamento sia composto dalle tre principali istituzioni dell’UE sotto la guida del Parlamento”. Prima della pausa estiva a Bruxelles circolava il nome, mai confermato, del liberale Guy Verhofstadt come personalità indicata dai gruppi parlamentari per mettersi a capo della Conferenza. I rappresentanti degli Stati a livello di Consiglio non sembrano d’accordo e chiedono una “eminente personalità europea come suo presidente unico e indipendente” che possa “rappresentare gli interessi comuni di tutte e tre le istituzioni dell’UE”, rifiutando dunque il ruolo di leadership che il Parlamento europeo intendeva tenersi per sé.
Mettere mano ai trattati?
Quello che forse rappresenta il nodo principale su cui Europarlamento e Consiglio alimenteranno un confronto più aspro è la possibilità di modificare i trattati dell’Unione europea. Il Consiglio dell’UE, nella posizione negoziale adottata il 24 giugno, ha chiarito (senza lasciare troppi margini di speranza), che la Conferenza non si inscrive nel quadro dell’art. 48 del TUE (Trattato dell’Unione europea), che stabilisce le varie procedure per la riforma dei Trattati. Gli eurodeputati hanno chiesto a più riprese nel corso dei mesi precedenti di non escludere a priori una revisione dei Trattati, per rendere il progetto di riforma veicolato dalla Conferenza di gran lunga più incisivo. Posizioni distanti che sarà difficile riuscire a conciliare.
L’idea di una riforma del funzionamento democratico europeo si è fatta più urgente con lo scoppio della pandemia, che ha evidenziato debolezze e divisioni del progetto europeo. Già la nuova legislatura, avviatasi nel 2019, si è aperta con la consapevolezza dei limiti della governance europea, messa alla prova anche dalla decisione di Londra di dire addio all’Unione. La pandemia assumerà un ruolo chiave sui lavori della Conferenza, che si concentreranno non solo su tutte le priorità indicate a inizio legislatura (sostenibilità, rivoluzione digitale, sfide sociali) ma soprattutto sulle ripercussioni economiche e gli insegnamenti che si possono trarre da questa crisi, ragionando su cosa e come l’Unione avrebbe potuto fare meglio. E la discussione sulle riforme politiche necessarie per ricostruire il futuro dell’Unione dopo la pandemia potrebbe rendere necessario mettere mano anche ai trattati.