Bruxelles – Il 4 settembre di quest’anno segna i 50 anni dalla vittoria elettorale di Salvador Allende in Cile, che lo ha reso il primo presidente socialista eletto democraticamente nel Paese nel pieno degli anni in cui il mondo era spaccato dalla Guerra Fredda e dalla divisione in blocchi, sovietico e occidentale. Nel 1970, Allende era candidato dell’Unidad Popular (Unità popolare), colazione di partiti socialisti e comunisti con frange radicali, e alle elezioni vinse in dieci delle venticinque province del Cile. Dei 3.539.747 cittadini iscritti alle liste elettorali, il 36,3 per cento (circa 1.070.334 individui) ha sostenuto Allende, che ha sorpassato di 40 mila voti Jorge Alessandri, esponente della destra, fermo al 34,9% e il democristiano Radomiro Tomic (27,8 per cento), con un livello di astensione pari al 16,3 per cento.
La via cilena del socialismo
Nel programma di coalizione, l’Unidad Popular proponeva di combattere arretratezza e povertà ed eliminare le disparità sociali che dilagavano nel Paese, mettendo fine allo “strapotere del capitale monopolistico”, sia di stampo nazionale che internazionale. La politica di Allende, ribattezzata “la via cilena al socialismo” avrebbe dovuto favorire la transizione verso una società socialista attraverso la trasformazione delle istituzioni economiche, politiche e sociali, se pure nel pieno rispetto della legalità e della Costituzione. Fu sostenuto anche da molti intellettuali progressisti, tra cui Pablo Neruda,
Tra le iniziative portate avanti da Unidad Popular il recupero della sovranità nazionale sulle risorse naturali cilene, in particolare del rame, ha rappresentato un punto cardine dell’azione, passando poi per la nazionalizzazione del settore finanziario e delle principali imprese del Paese. Di chiaro orientamento spostato a sinistra (Allende ristabilì i contatti con la Cuba di Fidel Castro, che nel 1971 fu in visita in Cile) la politica di Allende era vista con sospetto anche fuori dal Cile: nel pieno della guerra fredda, gli Stati Uniti in primis temevano che il comunismo potesse attecchire anche in Sudamerica, come stava succedendo a Cuba, orientandolo di fatto in orbita sovietica.
“Allende lascia un’eredità democratica ed etica che deve essere salvata e apprezzata da tutti i progressisti”, afferma Marcela Ahumada direttore esecutivo della Fondazione Allende. A 50 anni da quelle elezioni riflette sul fatto che “negli ultimi decenni, in varie regioni del mondo, i nostri sistemi democratici sono stati colpiti da dittature criminali, fanatici di destra, populismo e forti nazionalismi che hanno portato al degrado del nostro tessuto sociale e ad una divisione della sinistra”. Per questo l’eredità di Allende “ci chiama a lavorare in unità e collaborazione per combattere le enormi disuguaglianze che il modello neoliberista genera”.
L’altro “11 settembre”
La via del socialismo non durò molto. Dopo appena tre anni, nel 1973, Allende fu destituito con la violenza. Dal 2001 a oggi l’11 settembre è ricordato principalmente per l’attentato terroristico alle torri gemelle di New York, responsabile di aver innescato una spirale di eventi che ha cambiato il mondo occidentale. In Cile e in America Latina però l’11 settembre è ricordato anche per il golpe militare del 1973 che ha messo fine al governo di Allende, inaugurando la dittatura del generale Augusto Pinochet, al potere fino al 1988. Il giorno del colpo di stato, Allende fu trovato morto nel suo ufficio alla Moneda, la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica del Cile, e nel corso degli anni ci sono state numerose indagini per capire se si fosse suicidato prima di essere catturato dai golpisti oppure che fosse stato assassinato. “Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori: Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”, l’ultimo messaggio rivolto al popolo cileno.