Bruxelles – Riforme, l’Italia non passa l’esame della Corte dei conti europea. Tra il 2011 e il 2018 è stato fatto poco o nulla per soddisfare le richieste contenute nelle raccomandazioni specifiche per Paese, l’insieme delle misure da attuare per rendere il sistema economico e produttivo più competitivo e al riparo dalle fragilità strutturali, soprattutto in termini. Le raccomandazioni della Commissione, e approvate dal Consiglio, fanno parte del ‘semestre europeo’, il processo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri.
Gli Stati membri dovrebbero tener conto di tali raccomandazioni quando definiscono il bilancio dell’esercizio successivo e quando prendono decisioni relative alle politiche nazionali. Mai l’uso del condizionale è più appropriato. Perché l’Italia ha fatto orecchio da mercante. A dire il vero non è sola in questo venir meno agli impegni assunti in sede comune. La Corte di conti ha preso in esame il percorso di riforme di Austria, Belgio, Finlandia, Ungheria, Italia e Paesi Bassi tra il 2011 e il 2018. Il risultato è più che negativo.
“Gli Stati membri non hanno profuso abbastanza sforzi per attuare le raccomandazioni specifiche per paese formulate dal Consiglio dell’Unione europea”, le conclusioni dei revisori di Lussemburgo contenute nella loro relazione. “Gli Stati membri hanno attuato, sostanzialmente o pienamente, solo un quarto circa delle raccomandazioni, mentre per quasi un terzo di esse vi sono stati progressi modesti o nulli”.
Bocciatura su tutta la linea. Nel caso italiano è un giudizio negativo sui governi Berlusconi (maggio 2008-novembre 2011), Monti (novembre 2011-aprile 2013), Letta (aprile 2013-febbraio 2014), Renzi (febbraio 2014-dicembre 2016) e Gentiloni (dicembre 2016-giugno 2018). A livello più generale un esempio di questi progressi modesti o nulli è il Programma nazionale di riforme (PNR) dell’Italia relativo al 2016. “Alcune misure proposte non facevano riferimento alle priorità indicate nell’analisi annuale della crescita o negli orientamenti integrati”. Più in concreto, “il PNR 2016 dell’Italia non fa riferimento a questioni importanti quali il rilancio degli investimenti, l’agenda digitale o la flessicurezza”.
Ancora, l’Italia ha fallito nella lotta all’esclusione sociale. Nel periodo di riferimento la soglia del reddito disponibile “è rimasta pressoché stabile”. Non c’è stato un aumento della ricchezza. Sulla base dei dati disponibili la riduzione del numero di persone dal rischio di povertà o di esclusione sociale “non sarà raggiunto”.
Da qui i suggerimenti della Corte dei conti europea all’esecutivo comunitario. A partire dal prossimo ciclo, vale a dire con le raccomandazioni specifiche per Paese del 2021, ai governi si dovrebbe “richiedere la mappa delle risposte strategiche alle priorità e agli obiettivi definiti a livello dell’UE, nonché chiare descrizioni di come gli Stati membri intendano attuare ciascuna raccomandazione specifica fornendo informazioni sulla tempistica e sui costi”.
Ma soprattutto, “la Commissione dovrebbe rafforzare il collegamento fra fondi UE a sostegno dei processi di riforma negli Stati membri e le raccomandazioni specifiche per Paese”. In sostanza, se l’Italia non fa le riforme non si prende le risorse comunitarie.
Chiesta anche una stretta sui governi, con una rendicontazione permanente dei risultati ottenuti. Sempre alla Commissione UE si chiede di “creare una banca dati pluriennale accessibile al pubblico contenente tutte le raccomandazioni specifiche e il relativo stato di attuazione”.
Inoltre, si invita a porre l’accento sulla dimensione sociale, il che implica riforma del mercato del lavoro e sistemi di tutela. “La Commissione dovrebbe prestare particolare attenzione alla riduzione della povertà nell’ambito del semestre europeo, attraverso una combinazione equilibrata di interventi diretti per ridurre la povertà e raccomandazioni specifiche concernenti l’occupazione”.