Bruxelles – I casi di contagio da Coronavirus in Europa sono tornati quasi ai livelli visti a marzo, quando la pandemia ha iniziato a diffondersi nel continente. La crescita del tasso di notifica è consolidata da circa cinque settimane, se pure si tratta di un aumento dei contagi con un andamento più lento rispetto a quello registrato a marzo.
“Il virus non ha dormito durante l’estate. Non è andato in vacanza”, ha detto alla commissione per la sanità pubblica (ENVI) dell’Europarlamento Andrea Ammon, direttrice del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). I dati di questa settimana mostrano che in tutta Europa ci sono stati 46 casi ogni 100 mila individui. “Siamo quasi tornati ai numeri che abbiamo visto a marzo”, ha ammonito Ammon, riferendosi al periodo in cui le infezioni in Europa hanno iniziato a crescere passando da circa 40 ogni 100 mila persone fino a circa 70 ogni 100 mila registrati alla fine di aprile. In seguito alle misure restrittive adottate dai governi europei per fermare l’andamento dei contagi, il tasso di notifica dei positivi aveva ricominciato a scendere. L’allentamento progressivo delle misure restrittive in vista della stagione turista ha portato con sé un nuovo aumento dei contagi.
In Europa la mappa dei contagi notificati è però molto frastagliata. I dati citati dalla direttrice dell’ECDE riguardano i Ventisette Stati membri più la Gran Bretagna, la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein, con tassi di notifica che variano molto da 2 a 176 per 100.000 persone. Ma l’aumento del tasso di notifica dipende molto da alcune variabili, ad esempio da quanti tamponi vengono realmente effettuati e a seconda di queste variabili l’ECDC “osserva situazioni assai diverse”. In merito a questo gli eurodeputati della commissione ENVI hanno sottolineato la necessità “di armonizzare le procedure di test poiché la frequenza dei tamponi varia da 173 a oltre 6 mila per 100.000 a settimana negli Stati membri dell’UE”.
In Europa, dunque, il quadro è fortemente disomogeneo. Prosegue però la tendenza che vede bambini e ragazzi come meno infettati rispetto al resto della popolazione, anche se i nuovi casi positivi riguardano anche i più giovani. Di tutti i casi registrati “meno del 5 per cento riguarda ragazzi sotto i 18 anni di età” e anche nei casi di contagio i sintomi sono più lievi e dunque meno suscettibili ai ricoveri e ospedalizzazioni.
Il quadro così delineato da Ammon ha permesso alla direttrice dell’ECDC di soffermarsi sul tema delle riaperture delle scuole, diventato dominante con l’arrivo di settembre. L’ipotesi di una chiusura delle scuole in Europa a causa del Covid-19 dovrebbe essere “l’ultima misura” da adottare contro il virus. La direttrice dell’ECDC insiste sull’impatto che una chiusura prolungata delle scuole potrebbe avere sull’istruzione dei bambini e ragazzi e sul loro benessere. Per il momento non esistono dati scientifici a sufficienza per dire che la riapertura delle scuole abbia comportato rischi maggiori di trasmissione in marzo e aprile, dal momento che alcuni Paesi in Europa che le avevano già riaperte quasi subito in primavera “non hanno poi registrato un nuovo aumento di casi”, dice senza citare direttamente i Paesi.
Difficile dire al momento quale sia stato il contributo delle chiusure scolastiche alla riduzione dei contagi. Tuttavia, ha aggiunto, anche nelle varie riaperture che si sono osservate è stato fondamentale introdurre diverse misure di sicurezza, tra cui il distanziamento sociale e il lavaggio frequente delle mani, dovuto alla condizione particolare.