Bruxelles – Il tempo incalza ma il Parlamento europeo non sembra intenzionato ad accontentarsi di un accordo su bilancio pluriennale (2021-2027) e fondo di ripresa Next Generation EU che lo soddisfa solo a metà. A partire dal 27 agosto, le delegazioni del Parlamento europeo e della presidenza tedesca di turno al Consiglio dell’UE hanno avviato una nuova fase di colloqui trilaterali insieme alla Commissione sul pacchetto europeo anti-crisi approvato dai Ventisette nel corso dell’ultimo vertice del 17-21 luglio.
L’Europarlamento, che condivide con il Consiglio la funzione di autorità di bilancio, avrà l’ultima parola sul prossimo esercizio finanziario di sette anni ed è intenzionato a dare battaglia per alzare le ambizioni della proposta dei leader sotto diversi punti di vista. Non c’è dubbio sulla portata storica dell’accordo raggiunto il 21 luglio ma il Parlamento europeo ha espresso profonda insoddisfazione nei confronti di una proposta di bilancio di sette anni che ritiene poco ambiziosa, limitata a 1.074 miliardi di euro con tagli a programmi considerati fondamentali per “il futuro dell’Unione”, dalla ricerca alla salute, dalla difesa all’Erasmus. Il programma Horizon dedicato alla ricerca, per esempio, scende da 13,5 a 5 miliardi di euro.
Per la maggioranza degli eurodeputati si tratta di tagli “ingiustificabili” alle politiche a lungo termine dell’Unione, convinti che il fondo di ripresa non sia sufficiente a sostenere la crisi del continente. Soprattutto, spiegano dal Parlamento, la proposta non ha l’ambizione di guardare oltre la crisi pandemica, che quando sarà superata lascerà sulle spalle delle nuove generazioni molto debito da risanare. I gruppi al Parlamento europeo hanno lasciato intendere, neanche troppo velatamente, che per ottenere il loro consenso, il Consiglio dovrà “cedere” su alcune loro richieste.
In termini di risorse complessive di bilancio, durante i negoziati interistituzionali avviati a fine agosto non ci saranno grandi cambiamenti rispetto all’accordo di luglio. Su questo la presidenza di turno tedesca non sembra intenzionata a lasciare ampi margini di manovra per incrementi sul bilancio, soprattutto perché la pandemia ha messo in difficoltà le economie dei Paesi che dovrebbero contribuire al quadro finanziario. Vista la difficoltà del momento, ha riferito Michael Roth, ministro tedesco agli Affari europei, di fronte alla commissione bilanci del Parlamento (primo settembre), non faranno ulteriori richieste agli Stati membri in questo senso. Più verosimile che i vari capitoli di spesa ridimensionati dalla proposta del Consiglio e menzionati dal Parlamento come prioritari, subiscano aggiustamenti per andare incontro alle richieste dei gruppi parlamentari, ridistribuendo le risorse già presenti nella proposta.
A pochi mesi dalla fine dell’anno, con il bilancio 2014-2020 in scadenza, non è tanto la portata del QFP su cui insisteranno di più i negoziatori dell’Eurocamera per dare luce verde all’accordo. Sono altre le questioni su cui Parlamento e Consiglio dell’UE mostrano di avere ancora posizioni distanti, tra cui l’introduzione di un meccanismo articolato di tutela dello stato di diritto e l’introduzione di un nuovo sistema di risorse proprie dell’Unione, ovvero nuove entrate fiscali. Queste le principali “linee rosse” del Parlamento europeo da cui non è possibile prescindere per progredire sui negoziati, a cui si aggiunge la richiesta di avere un ruolo meno marginale nella governance del fondo di ripresa.
La riforma delle risorse proprie entro ottobre
Quanto alle nuove risorse proprie dell’Unione europea, per renderla più autonoma dal punto di vista finanziario, per il Parlamento è fondamentale introdurle al più presto per “gravare meno sulle future generazioni per ripagare il debito contratto sui mercati dalla Commissione europea” nel quadro del Next Generation EU. Il primo settembre la commissione bilanci dell’Europarlamento ha approvato con 33 voti a favore, 5 contrari e 2 astensioni il suo progetto di relazione sul tema delle risorse proprie che sarà discusso ed eventualmente approvato in seduta plenaria del 14-17 settembre come posizione dell’intero Parlamento europeo sulla questione.
A luglio gli Stati hanno concordato che come primo passo debba essere applicata dal primo gennaio 2021 una tassa derivata da un loro contributo di 80 centesimi per ogni chilogrammo di plastica non riciclata. Come risorse proprie supplementari, si legge nelle conclusioni del Consiglio europeo, “nel primo semestre del 2021 la Commissione presenterà proposte relative a un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e a un prelievo sul digitale, ai fini della loro introduzione al più tardi entro il primo gennaio 2023”.
Al Parlamento non basta e chiede la conferma che entro il 2021 venga introdotta anche una seconda risorsa propria. Oltre alla plastica, gli eurodeputati della commissione bilanci chiedono dal primo gennaio 2021 “una risorsa propria basata sulle entrate derivanti dal sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE; dal 2023, risorse proprie basate sulle entrate derivanti dalla tassazione dei servizi digitali e su un meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio; dal 2024, una risorsa propria basata su una tassa sulle transazioni finanziarie; dal 2026, una risorsa propria basata sulla quota di utili imponibili attribuita a ciascuno Stato membro”.
Alla Commissione chiedono una precisa calendarizzazione su tempi e modi in cui saranno introdotte le nuove entrate fiscali. Dal punto di vista della tempistica, nell’ottica di fare entrare bilancio e fondo di ripresa in vigore dal primo gennaio 2021, la riforma delle risorse proprie rappresenta l’ostacolo più grande da superare, dal momento che oltre che dal Parlamento europeo dovrà essere approvata singolarmente dai Parlamenti nazionali degli Stati membri. Per la ratifica di tutti gli Stati i tempi rischiano di allungarsi molto e per questo l’idea dei negoziatori è quella di raggiungere un accordo almeno sulle risorse proprie entro il mese di ottobre, così da lasciare il tempo ai Parlamenti nazionali.
Il nodo dello Stato di diritto
Tra le questioni rimaste più spinose c’è la richiesta di inserire nel pacchetto negoziale un meccanismo di controllo delle risorse di bilancio da chi non rispetta i valori europei, in particolare lo stato di diritto. Definire la quota di risorse e come saranno investite nei prossimi sette anni non è solo una mera questione di finanziamenti ma anche dei princìpi su cui l’Unione europea si fonda. “L’UE non è solo un mercato, ma soprattutto una comunità di valori”, sintetizzano dall’Eurocamera.
I principali gruppi politici al Parlamento europeo hanno criticato molto il testo finale dell’accordo di luglio per gli scarsi accenni al rispetto dello stato di diritto per poter accedere al fondo di ripresa e in una lettera indirizzata a Ursula von der Leyen e Angela Merkel hanno minacciato di nuovo il veto sul bilancio. In effetti, in sede di Consiglio europeo, il dibattito per l’introduzione di un nuovo meccanismo di tutela, che la Commissione europea ha proposto per la prima volta nel 2018, è stato marginale, messo in secondo piano dall’esigenza dei leader di trovare una quadra d’insieme.
Il Parlamento, però, ne ha fatto una questione di principio, facendo anche le veci della Commissione, e tenterà nei prossimi mesi di rendere vincolante quel vago accenno all’importanza di legare le risorse del bilancio al rispetto dello stato di diritto e degli altri valori europei presente nelle conclusioni.
Di fronte alla commissione bilanci, anche Roth ha riconosciuto che nella parte relativa alla condizionalità sullo stato di diritto il testo delle conclusioni presenta “formulazioni opinabili”. Non nasconde che sarà complesso riuscire a trovare un compromesso tra le squadre negoziali, ma allo stesso tempo si è mostrato consapevole del fatto che il tema rappresenta per il Parlamento una priorità e come tale andrà riconsiderata per scongiurare l’eventualità di un veto. Si dice fiducioso che un accordo si troverà anche se sottolinea, “non voglio che si arrivi a far passare il messaggio che o ci sono i soldi del fondo di ripresa o c’è la tutela dello stato di diritto”. Le premesse per un compromesso con il Parlamento per il momento non sono delle migliori.
Mentre si intensificano i colloqui tra Parlamento europeo e presidenza del Consiglio UE, secondo Politico il parlamento ungherese è deciso a bocciare l’accordo sulle risorse proprie per “tenere in ostaggio” il fondo di ripresa e costringere gli Stati europei a limitare la condizionalità dello stato di diritto.
Un fatto certo è che in mancanza di un accordo sul quadro finanziario o con l’eventuale bocciatura del budget pluriennale da parte degli eurodeputati (che possono bocciare o approvare la proposta di bilancio in blocco, senza possibilità di emendarla) l’Unione europea andrebbe a iniziare il 2021 in esercizio provvisorio di bilancio. Ipotesi da scongiurare vista l’emergenza sanitaria ed economica innescata dal Coronavirus, rischiando così di rallentare lo sblocco delle risorse destinate alla ripresa e l’applicazione dei vari programmi europei.
Ritardare lo sblocco delle risorse significa mettere in difficoltà i Paesi più gravati economicamente dalla crisi sanitaria. L’Italia, tra tutti, è il maggior beneficiario dei contributi europei e tra quelli che più risentirebbe di un ulteriore ritardo nei finanziamenti da parte dell’UE: se l’accordo dovesse farsi, al Paese potrebbero arrivare fino a 209 miliardi di euro, di cui circa 80 miliardi in sovvenzioni e 127,4 miliardi in prestiti. Il tutto al netto del fatto che il Paese dovrà presentare entro metà ottobre una prima bozza di piano nazionale di ripresa per informare Bruxelles di come intende spendere i fondi europei e su quali saranno le priorità di investimento.
Tuttavia, più di altre volte il Parlamento europeo si è mostrato compatto e sicuro di non voler retrocedere e rinunciare al suo potere di controllo sul bilancio. I negoziati si preannunciano difficili. Questa volta, hanno avvertito da Strasburgo, la possibilità di un veto è concreta.