Bruxelles – Sono giorni roventi a Minsk: ci si prepara alle elezioni presidenziali del 9 agosto, che potrebbero segnare una svolta nella storia di un Paese da molti definito (per il momento) l’ultima dittatura d’Europa.
Alexander Lukashenko detiene la carica di presidente da ben 26 anni. E’ stato rieletto costantemente in tornate elettorali non libere e antidemocratiche. Erano molti i candidati che si erano proposti per correre alle elezioni di agosto, ma il regime di Lukashenko ha fatto in modo che quasi nessuno giungesse alla candidatura formale. In reazione alla manovra liberticida, due settimane fa centinaia di bielorussi hanno invaso le strade di Minsk, Brest e altre città del Paese protestando per la mancata registrazione formale dei candidati Viktor Babariko e Valery Tsepkalo, per Lukashenko i più temibili. Ma ben presto la polizia ha fatto sentire il suo pugno di ferro, con arresti che hanno coinvolto anche 10 giornalisti, come mostrano alcune immagini della redazione bielorussa di Radio Free Europe. C’è un solo candidato rimasto a sfidare il presidente uscente che corre per la sesta volta consecutiva, ed è una donna: Svetlana Tikhanovskaja. Moglie di Sergey Tikhanovsky, noto blogger ed ex candidato, eliminato anche lui dalla tenzone elettorale, ne ha raccolto il testimone e sta portando avanti le speranze di un intero popolo.
“Non ti darò il Paese”, ha minacciato Lukashenko l’avversaria, non risparmiando nemmeno i suoi. Lei è stata costretta a farli espatriare: “oggi, nel XXI secolo, nel cuore dell’Europa, succede questo“, riferisce. Ci troviamo dinanzi a un dittatore “capace di vendersi qualsiasi cosa per il potere, anche l’indipendenza del suo Paese”.
Svetlana Tikhanovskaja guida ormai l’opposizione e ha una strategia ben precisa per vincere le elezioni. “Andate a votare nelle ore serali del primo giorno di elezioni”, dice ai suoi sostenitori, e “indossate un braccialetto bianco, simbolo di onestà e purezza”. Incoraggia poi gli osservatori elettorali indipendenti ad insistere per essere ammessi nei seggi elettorali e a filmare se non dovessero esserlo, per testimoniare che le elezioni potrebbero essere manipolate. L’eventuale vittoria dovrà poi essere difesa in tutti i modi, ma sempre “con mezzi pacifici e legali“.
Oggi (31 luglio) in piazza sarebbero in 18mila a manifestare in sostegno di Svetlana, riferiscono fonti governative citate dalle agenzie. Ma i media indipendenti avevano già fatto sapere che i manifestanti sono oltre 60.000. Il giornalista Stepan Putilo dal canale Nexta Live su Telegram, che conta oltre 300.00 iscritti, riferisce di interventi di camion militari e truppe del ministero dell’interno, che continuano a trattenere giornalisti di Belsat TV e altre testate.
“Pozor!”, “Vergogna!” gridano i manifestanti in bielorusso e in russo. Sì, perché nonostante l’indipendenza conquistata nel 1991, eterno è il legame che lega la Bielorussia alla Federazione russa, ex madrepatria con cui Lukashenko trama, a periodi alterni, di riunificare il Paese.
Alle ultime elezioni parlamentari del novembre scorso “non un singolo candidato all’opposizione è stato eletto al parlamento di Minsk“, osserva Eleonora Tafuro Ambrosetti di ISPI. E questo nonostante la riapertura dei rapporti diplomatici tra Bielorussia e Stati Uniti nel 2014, l’alleggerimento delle sanzioni che l’UE aveva imposto al regime di Minsk “per le violazioni dei diritti umani”, e le facilitazioni per l’ottenimento del visto Schengen per i cittadini bielorussi. Ma si tratterebbe del consueto “gioco geopolitico” di bilanciamento tra Russia e Occidente che Minsk conduce ogni qual volta vi sono “attriti” con Mosca, con la quale ha comunque in sospeso un trattato di unione dal 1990 per un’unione economica e dell’energia. Uno dei motivi degli attriti sarebbe la fine delle “donazioni di petrolio” da Mosca, ovvero i proventi dell’acquisto del “petrolio russo duty-free, che Minsk riesportava a prezzo più alto”.
Va da sé che vi sono state, e vi sono, ingerenze russe nelle elezioni bielorusse. Ma questa volta Lukashenko, per confondere le idee e cercare di riconquistare parte dell’opinione pubblica, ha inscenato un finto arresto di mercenari russi, ingaggiati da lui stesso per dar vita a finte proteste e per cercare di spostare i voti dell’opposizione.
L’UE, nella persona di Josep Borrell, aveva esortato a metà luglio la Bielorussia a tenere elezioni libere e democratiche, chiedendo che il Paese invitasse ufficialmente gli osservatori elettorali dell’OSCE. Il presidente bielorusso ha reagito invitando l’UE a “focalizzarsi sulla situazione nel proprio ‘cortile’ anziché ‘puntare il dito’ contro Minsk“, rivendicando di non avere “nulla da nascondere”.
L’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza UE aveva denunciato la mancanza di trasparenza nella raccolta firme per la registrazione dei candidati, nonché di altri standard OSCE relativi a “inclusione, integrità e trasparenza” e “l’esclusione arbitraria dei candidati”.
Fedele al suo intento di consolidare i rapporti con i vicini post-sovietici della Russia, l’UE resta infatti “impegnata nell’approfondire i suoi rapporti con i cittadini e la società civile della Bielorussia”, di cui sostiene la piena “indipendenza e sovranità”. Sui diritti umani non si fanno sconti.