Oggi l’Europa è ad un punto di svolta sul tema del digitale e la discussione aperta intorno al Digital Services Act lo dimostra. Se già a partire dal suo insediamento, la nuova commissione aveva fatto intendere che il mondo del digitale con tutti i suoi annessi e connessi, e-commerce al primo posto, non era più un tema da tenere ai margini della discussione politica, è stato il Covid a rivelarne la centralità e la strategicità.
Il nuovo dossier aperto dalla Commissione, infatti, raccoglie il testimone da una serie di provvedimenti che erano già entrati in vigore. Si pensi alla tutela dei dati e della privacy dell’utente europeo con la GDPR o alla garanzia alla trasparenza a favore dei consumatori grazie al geoblocking, un provvedimento, entrato in vigore da fine 2018, che garantisce il diritto di avere piena visione dei prezzi di una merce nei diversi paesi d’ Europa. Ma la grande novità è che per la prima volta mette nero su bianco un grande cambiamento di paradigma: il digitale non è più un settore accessorio, ma rappresenta in tutto e per tutto un nuovo asset di sviluppo strategico, così come l’industria aeronautica o l’acciaio.
Quali sono però le necessità del settore che ci aspettiamo vengano prese in considerazione dal provvedimento? Innanzitutto, in Europa manca completamente un mercato unico digitale: la regolamentazione è per lo più nazionale, esistono difficoltà di accesso a fondi sufficienti per creare campioni Europei e si opera in un contesto di grandi differenze culturali. Un quadro, questo, che ci rende estremamente permeabili ai grandi player americani o cinesi che non conoscono queste difficoltà nel proprio mercato domestico e che entrano in Europa solo dopo essere cresciuti a casa propria.
A questa tendenza si affiancano i nuovi modelli di negozio su cui l’Europa non ha possibilità di intervento, che ponendo al centro i dati creano posizioni dominanti nella catena del valore digitale controllando le diverse fasi del suo sviluppo lasciando ai venditori locali il margine che permetta loro poco più della sopravvivenza.
È come se un gelataio fosse costretto a rifornirsi da un unico fornitore per il latte, la frutta, i macchinari e la locazione del negozio nel quale esercita. È evidente che quel fornitore non solo è l’unica fonte di sussistenza del nostro imprenditore, ma è anche l’unico che può stabilire, in maniera univoca, i suoi margini di guadagno. Un esempio estremo che però non è così lontano da quello che fanno i grandi player internazionali, che entrano così profondamente e in maniera così tentacolare nel processo da mettere in una posizione di estrema debolezza le aziende che utilizzano i loro strumenti.
Ecco perché una regolamentazione comunitaria del comparto che sia finalizzata a riequilibrare le forze in campo diventa strategica per l’Europa ed è il primo passo per rendere competitiva l’industria digitale europea a livello globale.
Solo così si alimenta una cultura capace di portare all’aggregazione necessaria per creazione di campioni europei di settore. In questo senso il Digital Services Act è il primo passo di una roadmap verso la costruzione di un nuovo contesto normativo che favorisca lo sviluppo industriale del mondo digitale.
Oggi siamo in una fase in cui l’Europa riconosce il valore del digitale e lo dichiara, un momento di consapevolezza importante a cui l’America, ad esempio, ancora non è arrivata. Già perché se in USA esiste una cultura imprenditoriale del digitale, non si può dire altrettanto di una cultura “statale”. L’Europa potrebbe trarre beneficio da questa consapevolezza ma perché la trasformazione sia completa ancora una volta è necessario agire su tre fronti: quello normativo con un quadro unico a livello europeo, quello finanziario, che preveda incentivi per il settore, e quello culturale, che contempli politiche che facilitino aggregazioni a livello europeo.
Giovanni Meda, imprenditore digitale, Ceo di Kooomo.
Kooomo è una piattaforma tecnologica che aiuta i brand a vendere online e internazionalizzare.