Bruxelles – Divisioni politiche, una crisi economica che si aggrava giorno dopo giorno, una pandemia che aggredisce un sistema sanitario già in difficoltà. Una situazione che negli ultimi anni ha spinto milioni (oltre cinque) di venezuelani a fuggire nei Paesi limitrofi ma anche fuori dall’America Latina. Nel 2019, i venezuelani rappresentavano il terzo più grande gruppo di richiedenti asilo in Europa, con oltre 45 mila domande provenienti da lì. Secondo l’EASO, l’agenzia dell’UE per l’asilo, l’incremento complessivo delle domande registrate in Europa nel 2019 si spiega proprio in ragione di un forte aumento di richieste arrivate dal Venezuela (+103 per cento rispetto al 2018). Una diaspora silenziosa.
L’ultimo grande scossone politico in Venezuela ha avuto inizio ormai un anno e mezzo fa. Sono gli inizi del 2019 e le grandi proteste contro il presidente Nicolás Maduro fanno da sfondo all’autoproclamazione a presidente ad interim di Juan Guaidó, leader di opposizione che ha contestato la rielezione del 2018 del regime autoritario di Maduro, definendola illegittima. Da allora il Paese è in fermento politico, la leadership è divisa come diviso è il sostegno della comunità internazionale degli Stati. Guaidó, ad esempio, è sostenuto dal Parlamento europeo e dagli Stati Uniti, oltre che da molti governi dell’America Latina.
L’Italia è un caso a sé. Non riconosce ufficialmente il presidente interino Guaidó ma non riconosce neanche Maduro. Al Paese si rivolge Leopoldo López Gil, padre di Leopoldo Lopez, il presidente del partito di opposizione Voluntad Popular prima di Guaidó, in una intervista a Eunews. “È triste sapere che l’Italia e Cipro siano gli unici Paesi (dell’Unione europea, ndr) a non riconoscere la legittimità dell’Assemblea nazionale venezuelana e del presidente ad interim” dice l’eurodeputato del Partito popolare europeo (PPE). Guaidó, spiega, è il presidente legittimo (del Venezuela) in qualità di legittimo presidente dell’Assemblea nazionale, ovvero il Parlamento e unico organo eletto nel Paese. Solleva dunque la questione: perché l’Italia non ha ancora riconosciuto il presidente interino? Da parte del governo italiano c’è “l’impegno a favorire una soluzione negoziata, pacifica e democratica alla crisi in Venezuela”. Tuttavia, la questione rimane scivolosa e da parte del governo di Roma, fin dall’autoproclamazione, si è cercato di mantenere un atteggiamento di prudenza dovuto alla divisioni interne alla maggioranza.
Nell’ultimo anno e mezzo, il Parlamento europeo ha invece approvato diverse risoluzioni di condanna del regime di Maduro, ribadendo il riconoscimento del leader di opposizione. Di recente le relazioni diplomatiche tra Unione europea e regime di Maduro hanno vissuto un brusco momento di tensione dopo che il presidente chavista, lo scorso 29 giugno, ha chiesto all’ambasciatore dell’Unione Europea, Isabel Brilhante Pedrosa, di lasciare il Paese, lanciandone un ultimatum di 72 ore. La decisione di Maduro è arrivata dopo che il Consiglio dell’UE aveva sanzionato altri 11 funzionari del governo venezuelano, (oltre a quelli già sanzionati in passato, portandoli a quota 36) perché ritenuti responsabili di minare la democrazia e lo stato di diritto in Venezuela e per aver agito contro l’Assemblea nazionale.
L’Alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, aveva subito annunciato misure di reciprocità ma la tensione è rientrata appena dopo 48 ore. Le nuove sanzioni arrivano in conseguenza “all’insistenza di Maduro di mantenere un governo che viola continuamente i princìpi dei diritti umani e della democrazia, ignorando le regole di un sistema giudiziario indipendente dall’esecutivo” accusa López Gil. D’altro canto potrebbero rappresentare un motivo in più per Maduro per accusare l’Unione europea di “colonialismo o neocolonialismo” o per fare credere che (le sanzioni) “arrecherebbero ulteriori difficoltà per i venezuelani”. In realtà, aggiunge, le sanzioni sono restrizioni individuali e non hanno dirette ripercussioni sul resto della popolazione.
In questo contesto, è in aumento il numero di prigionieri politici o prigionieri di coscienza del regime di Maduro. Ad oggi secondo le stime sarebbero tra i 300 e i 400. “Negli ultimi 3 anni, secondo le Nazioni Unite, oltre 10 mila individui sono stati incarcerati per motivi politici. Tra questi attuali ci sono anche 11 europei, di cui 3 Italiani. Di uno di loro, racconta a Eunews l’eurodeputato, non “abbiamo idea di dove sia. È scomparso, e potrebbe essere uno tra quegli oltre 18 mila individui” che a detta delle Nazioni Unite “sono forzatamente scomparsi”. Non sappiamo dove siano, dice Lopez Gil, “non sappiamo come siano stati presi o il perché. Sfortunatamente, molti di loro, ne siamo abbastanza sicuri, è andato incontro ad una triste sorte”.
Le pessime condizioni delle carceri
La condizione delle carceri venezuelane è tragica, aggiunge l’eurodeputato. Precisa però che la situazione nelle carceri e dei prigionieri, politici e non, in Venezuela ha radici lontane, non si parla di “tre o cinque anni” ma è una “situazione tragica da oltre 20 anni”. Ci sono circa 100 mila prigionieri, sia politici che di crimini comuni, in Venezuela, “mentre le carceri sono costruite per non più di 25 o 30 mila”. Denuncia una “condizione di sovraffollamento” a cui si legano a catena altri fattori “inaccettabili”, come la mancanza di approvvigionamento alimentare adeguato o idrico e dunque assenza di condizioni igieniche adeguate.
Alle tensioni politiche si aggiungono gli effetti della pandemia, che rischiano di trasformarsi in armi letali per il Paese. I numeri di contagi (oltre 13 mila) e decessi (129) a causa del Coronavirus forniti dal regime di Maduro sono relativamente bassi e secondo molti anche poco veritieri. Il Paese potrebbe essere più segnato dalla pandemia di quanto non dicano le stime ufficiali. E se il virus dovesse colpire più duramente il Venezuela nelle prossime settimane, come molti pensano, “molte delle vittime potrebbero essere proprio i prigionieri del regime di Maduro”. Anche per questo Lopez ha chiesto alla sottocommissione per i diritti umani dell’Europarlamento di creare “una missione parlamentare per visitare le prigioni venezuelane e descriverle” in modo da puntare i riflettori sulle loro condizioni e sensibilizzare la comunità internazionale sul tema. Per ora, poco si è smosso, ammette il deputato, aggiungendo di aver chiesto anche all’alto rappresentante Borrell di mobilitarsi “per la liberazione dei prigionieri politici, in particolare quelli con nazionalità europea”.
Nel frattempo, per il 6 dicembre sono state annunciate le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale del Venezuela per la legislatura 2021-2026. L’eurodeputato conviene che le parlamentari “potrebbero rappresentare un punto di svolta per la crisi nazionale e anche per la tolleranza internazionale”. Il regime è stato infatti “avvertito” da molti “governi internazionali, e non solo europei, dell’esigenza di tenere elezioni trasparenti, credibili e vere” oppure c’è il rischio che non le riconoscano. Naturalmente, conclude, se non dovessero tenersi in linea con i principi indicati “questo potrebbe portare a nuove sanzioni” europee “nei confronti di membri del regime di Maduro”.