Bruxelles – Corrono tempi drammatici per i giornalisti ungheresi. Prima del licenziamento del caporedattore Szabolcs Dull il 22 luglio, Index.hu era l’ultimo bastione della stampa indipendente rimasto nel Paese dell’Europa centro-orientale. L’intera redazione, ribellandosi alla decisione, aveva chiesto al direttore László Bodolai che venisse riassunto. Vedendosi opporre un categorico rifiuto, oltre 70 tra giornalisti e dipendenti hanno rassegnato le dimissioni e sono scesi a manifestare. Non vi era altra scelta, una volta violato il principio “nessuna influenza esterna sul contenuto pubblicato o nella struttura e composizione del personale“, uno dei criteri che la stessa Index si era data per mantenere la propria autonomia.
Una situazione che si protraeva da oltre un mese, ovvero da quando Dull aveva dato l’allarme sulle “pressioni politiche” che la pubblicazione subiva ormai da tempo. Il “barometro della libertà” del sito di Index indicava ormai che la redazione era “in pericolo“.
Questo ennesimo attentato liberticida è da ricondurre alla scalata al media ungherese da parte di Miklos Vaszily, imprenditore della cerchia del premier Viktor Orbán, che qualche mese fa aveva acquisito la metà delle azioni della società che controlla pubblicità e entrate di Index, che è solo l’ultima delle vittime dell’affarista, già in possesso dell’emittente TV2 e di Origo, tra gli ultimi media rimasti indipendenti fino al 2014.
A completare il quadro, basti ricordare che Nepszabadsag, il principale quotidiano di centro-sinistra, aveva ormai cessato le pubblicazioni nel 2016, mentre radio, TV e la stessa agenzia di stampa ungherese MTI “hanno da tempo rinunciato a qualsiasi pretesa di imparzialità”, riferisce Nick Thorpe della BBC, e “aspettano ordini dal governo su quali notizie riferire e come riferirle”.
In un Paese che, secondo Reporters Without Borders, si situa attualmente all’89° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa, l’azione dei giornalisti di Index è coraggiosa e invia un segnale forte all’Europa.
L’episodio è infatti ancora più eclatante se pensiamo che l’allontanamento di Dull è avvenuto solo un giorno dopo la conclusione dell’ultimo Consiglio europeo. Nel corso delle trattative a Bruxelles, Orbán sarebbe ricorso alla solita arma del veto, già usata in altri vertici, per ottenere da Angela Merkel il consenso a chiudere la procedura sull’articolo 7 entro la presidenza tedesca, assicurandosi al contempo l’erogazione dei fondi per la ripresa.
Ma per il presidente del Consiglio europeo Charles Michel non è ancora detta l’ultima parola: “con questo accordo, per la prima volta il rispetto dello stato di diritto si rivelerà un criterio decisivo per la spesa di bilancio”.
Resta il fatto che le istituzioni europee non sono ancora intervenute in modo decisivo sugli atteggiamenti liberticidi del governo ungherese, e non solo.
La vicepresidente della Commissione Věra Jourová per i valori e la trasparenza ha più volte sottolineato le “preoccupazioni” dell’UE in merito, intervenendo al Parlamento europeo e in altre sedi.
Ma oggi i portavoce della Commissione hanno sottolineato che “l’UE è attualmente al lavoro su un meccanismo per lo stato di diritto che si occuperà di temi relativi alla libertà e al pluralismo dei media”, e che sta finanziando iniziative per mappare i rischi e i casi di violazione dei diritti, per aiutare i giornalisti. Un altro strumento importante sarà il piano d’azione europeo per la democrazia che verrà pubblicato a fine anno e riguarderà quattro ambiti principali: integrità elettorale, libertà dei media, pluralismo dei media e disinformazione.
Riguardo alla condizionalità per l’uso dei fondi europei invece, si sta lavorando a diverse opzioni. Anche se “per ora valgono i riferimenti contenuti nelle conclusioni del Consiglio europeo sull’importanza dello stato di diritto e della tutela degli interessi finanziari dell’UE”.
La difficile situazione riguardante i media ungheresi si rispecchia anche in alcuni reclami ricevuti dalla Commissione, come quello del 2016 sugli aiuti di stato al sistema radiotelevisivo, ancora in valutazione (caso a quanto pare complesso) e un altro nel 2019 sul supposto sostegno a media filogovernativi.
Per Lydia Gall di Human Rights Watch, la commissaria Jourová, che a maggio aveva inviato un messaggio di solidarietà a Index offrendo il suo sostegno, “dovrebbe passare all’azione, se la Commissione vuole davvero proteggere i valori comuni dell’UE negli stati membri”. Gli stati membri stessi devono fare in modo di far pagare a caro prezzo l’attentato alla libertà dei media.
Dall’avvento al potere nel 2010, documenta HRW, il governo di Orban “ha modificato le leggi sui media per fare in modo di controllare le nomine del principale organo di regolamentazione dei media, introducendo non ben definite restrizioni ai contenuti e sanzioni elevate”. La TV di stato filogovernativa ha licenziato oltre 1.600 dipendenti, mentre nel 2018 “400 media sono stati fusi in un unico gruppo editoriale fedele a Orban”, in barba alle leggi della concorrenza e al pluralismo dei media.