Roma – Non nasconde il suo entusiasmo per il negoziato portato avanti dall’Italia e accoglie positivamente l’accordo siglato nel Consiglio europeo sul recovery fund. Gianni Pittella non condivide l’idea che il blocco dei Paesi nordici abbia ottenuto una vittoria politica. Chiede che il PSE “faccia chiarezza” sui capi di governo incapaci di essere solidali e poi, dall’alto della sua quasi ventennale esperienza a Bruxelles, dove è stato tra l’altro primo vice presidente del Parlamento e capogruppo dei socialdemocratici, prima di essere eletto senatore nelle file del PD, offre qualche suggerimento al governo sul piano di rilancio e resilienza. Quindi senatore, per lei il Consiglio ha portato a casa un buon risultato?
“Penso sia un accordo cruciale e di grande importanza. Sarebbe stato un disastro per i cittadini europei se non ci fosse stato. Per l’Europa questa è stata la seconda chiamata della storia. La prima è stata quando si doveva dare una ricostruzione al dopoguerra. Ora di dare una risposta a questa seconda grande emergenza storica che ha colpito la salute delle persone e l’economia e richiede un uovo sviluppo. Se per farlo è stato fatto un lavoro molto meticoloso e puntuto, se ci sia qualche aspetto che la scia l’amaro in bocca questo è poca cosa rispetto alla portata dell’intesa raggiunta”.
Non si poteva fare di più?
“Si può sempre fare di più, però nessuno avrebbe immaginato all’inizio del negoziato che si raggiungesse un volume finanziario così ampio e che per fare questo si attingesse dai mercati. Io parlavo dieci anni fa di eurobond ed insieme ad altri ci consideravano degli alieni. Adesso siamo agli eurobond di fatto e partendo da questi auspico si sviluppi un’iniziativa per rafforzare un governo economico e fiscale e andare verso una governance politica. Qui bisogna confidare nelle grandi leadership più forti , come la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron e nelle grandi famiglie politiche europee. L’altra grande novità da tenere presente è che nella spesa di queste risorse imponenti, bisognerà fare tesoro degli errori del passato e questo non riguarda solo l’Italia”.
Come è stata gestita questa trattativa dall’Italia?
“Io do un giudizio positivo, direi entusiasta. Forse i cori da stadio in Senato erano esagerati, ma danno il senso della tenacia, determinazione e intelligenza tattica con cui [il presidente del Consiglio, Giuseppe] Conte, il ministro [delle Politiche europee Enzo] Amendola e tutto il governo hanno accompagnato e gestito la trattativa”.
Ci sono stati però anche dei vincitori politici, i ‘frugali’, che coalizzandosi sono riusciti ad avere un potere d’interdizione anche davanti ai grandi Paesi. Non era riuscito neppure ai sovranisti tradizionali.
“Che abbiano dimostrato di poter fare inciampare l’accordo è vero ma alla fine, anche se hanno avuto dei vantaggi in termini di sconti al bilancio, della composizione tra prestiti e sovvenzioni, il risultato è che l’intesa c’è stata. Ora quando tornano a casa leggo che gli olandesi dicono a Mark Rutte che si è venduto. Questo braccio di ferro non è servito a far saltare l’intesa e neppure a recuperare la fiducia dei populisti. Quindi facciano tesoro di questa lezione: non serve comportarsi così a Bruxelles per avere qualche tornaconto elettorale in casa”.
C’è un problema nel Partito socialista europeo? Tre su cinque tra i frugali sono governi a guida socialista.
“Non ho difficoltà a riconoscerlo, non faccio come quelli che fanno finta di nulla. Ammetto che c’è un problema e chiedo che all’interno del PSE si faccia chiarezza su questo. Non si può accettare che i socialisti che stanno al governo rinuncino all’essenza di questa famiglia politica che è la solidarietà. Se non siamo solidali quando c’è una terribile pandemia che ha fatto migliaia e migliaia di vittime e ha rovinato l’economia e la forza della coesione sociale, come facciamo a dichiararci socialisti? Il PSE o affronta questi nodi in maniera chiara oppure rimane una confederazione una cornice di tanti piccoli pezzi nazionali e non è un vero partito europeo. Bisogna fare un passo in avanti per una maggiore condivisione programmatica, magari anche con un’iscrizione diretta”.
All’indomani dell’accordo in Italia già si discute sulla cabina di regia. I presidenti delle Camere chiedono che il Parlamento dia un indirizzo politico. Però c’è anche poco tempo, possiamo permetterci un dibattito potenzialmente infinito?
“Sono contrario ad annullare il ruolo delle Camere, non si perde mai tempo quando si discute in Parlamento. Poi questo deve avere tempi veloci, ci chiedano pure di lavorare di notte, il governo ha il dovere di gestire e coordinare ma gli indirizzi li deve dare il Parlamento che deve anche vigilare. Conte poi ha già sciolto questo nodo, affidando la gestione a un organismo che già esiste coordinato dal ministro Amendola. Noi del PD pensiamo che di debba fare una commissione bicamerale o monocamerale, che dia gli indirizzi di massima e poi svolgere il ruolo di controllo della spesa”.
Senatore lei è stato per vent’anni a Bruxelles. Cosa suggerisce al governo affinché questo programma sia utilizzato per il meglio?
“In primo luogo seguire le macro aree individuate dalla Commissione, dal Parlamento e dal Consiglio europeo: economia verde e digitale, coesione territoriale, riequilibrio di genere, sanità, cultura e turismo. Privilegiando l’asse intergenerazionale perché noi oggi stiamo facendo un debito che pagheranno le giovani generazioni e abbiamo il dovere di spendere pensando al loro futuro. La seconda indicazione è quella di presentare dei progetti ‘maturi’, immediatamente eseguibili ed esecutivi. I tempi che ci sono richiesti sono stretti e non possiamo permetterci di fargli fare la fine dei fondi strutturali e far scattare la ghigliottina della spesa. Terzo suggerimento, serve la responsabilità per ogni opera, ogni intervento, ogni progetto che deve avere un nome e un cognome che ne risponde. Dobbiamo finirla con lo scaricabarile”.
Viste le forze in campo, Gianni Pitella è ottimista?
“Io sono per natura fiducioso, come si fa altrimenti con tutti i problemi che abbiamo davanti… Se si fanno le cose che diciamo e con tutta umiltà mi sono permesso di suggerire sula base della mia esperienza in Europa, si può fare bene. Il ponte di Genova si è fatto in tempi veloci, se si vuole le cose si possono fare rapidamente e senza rinunciare alle regole”.