Roma – Fumata nera ma l’Italia non cede alle “pretese” dei paesi nordici. Dopo 14 ore di maratona in cui è andato in scena più uno scontro che un negoziato, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte rientra in albergo “deluso ma determinato a non indietreggiare. Né sulla portata del Recovery fund né sui meccanismi che lo rendano efficace, senza mettere veti nelle mani di singoli Paesi.
Fin dalle prime battute del Consiglio europeo si era capito che il duello si sarebbe consumato con i Paesi Bassi di Mark Rutte che ha tenuto la linea dura per tuta la giornata con la richiesta di monitoraggio e di imporre norme capestro e riforme decise da altri per poter erogare le risorse. Una posizione, non solo olandese ma supportata dai cosiddetti “frugali” che nella grande sala di Palazzo Europa fanno blocco.
A fine giornata dopo diversi incontri bilaterali che non smuovono di un millimetro la trattativa, il presidente Charles Michel avanza una proposta per superare il nodo della governance. La possibilità che si possa azionare un “freno di emergenza”, con il blocco dei trasferimenti del Recovery in caso di mancato consenso, rimandando la decisione ai leader del Consiglio, però non convince praticamene nessuno e sarebbe difficilmente applicabile nella pratica.
Il freno è un ulteriore spostamento verso le posizioni rigide di Rutte ma soprattutto rappresenta il pericolo che l’Italia teme di più: risorse inarrivabili e solo sulla carta. Spostare dalla Commissione europea al Consiglio il monitoraggio dei finanziamenti, è contro le regole dei trattati e il presidente del Consiglio lo ha messo in chiaro nel suo intervento all’inizio del vertice.
“Nulla è incrollabile, domani vediamo”, risponde Conte rientrando in albergo oltre la mezzanotte e prima di un nuovo colloquio con Angela Merkel e Emmanuel Macron in una saletta riservata.
“Il programma deve essere perseguibile, se mettiamo ostacoli operativi lo rendiamo inefficace e questo non serve a nessuno”, ha spiegato il premier a proposito della proposta del freno di emergenza “che non riteniamo spendibile”. Oltre a difendere “le prerogative e il ruolo della Commissione e non alterare gli equilibri istituzionali che per noi è una linea rossa”, afferma che l’Italia resta ferma sulla proposta iniziale sia per l’ammontare dell’intervento sia sul bilanciamento tra sussidi e prestiti.
“C’è la disponibilità a rivedere qualche dettaglio ma fino a ieri non si è riusciti neppure ad allentare i nodi principali e il rischio è che anche la giornata di oggi non possa bastare per arrivare a chiudere. Anche perché è restato congelato tutto il capitolo sul Quadro finanziario pluriennale che pure presenta molti scogli da superare. E su cui pesa molto la questione dei rebates (gli sconti sul bilancio appannaggio di alcuni Paesi) che Conte ha fato capire possano diventare l’arma finale, la minaccia utile a difendere le richieste sul fondo per la ripresa. Soprattutto a difendere la trincea di lasciare alla sola Commissione il controllo sui piani di riforma nazionali cui vincolare i fondi. L’Italia risponde alla richiesta di fare le riforme di modernizzazione, di impiegare le risorse secondo le linee indicate da Bruxelles della riconversione ambientale e digitalizzazione ma certo non potrà accettare che l’Olanda imponga interventi specifici come sulla riforma delle pensioni.
Alle 10 di oggi (sabato) si ricomincia con un vertice ristretto prima della plenaria. La strada per ora resta in salita per tutti anche per la grande mediatrice Angela Merkel che nel ruolo della presidenza del semestre finora ha evitato che il vertice potesse scivolare in uno scontro totale e farlo proseguire in un paziente lavoro di ricucitura.