Roma – Un solo incontro “potrebbe non bastare”, ha risposto Angela Merkel, incertezza quasi obbligata dopo mesi di incontri virtuali tra i 27 e un negoziato che si prospetta come una montagna da scalare. Aspettative elevate e divergenze ancora immutate, suggeriscono molta prudenza e la Cancelliera, notoriamente ricettiva sulla virtù, affronterà le giornate di venerdì e sabato con grande cautela.
Il Consiglio europeo del 17 e 18 è lì a pochi giorni, e Giuseppe Conte pur consapevole di un passaggio difficile e cruciale per l’economia dell’UE freme, e ai giornali continua a dire di non essere disposto a cedere su nulla, a parte qualche dettaglio. Se i dettagli del Recovery plan sono riduzioni delle quote di prestiti, sembra pronto a ragionare, molto meno sui finanziamenti, sulle condizioni e il ruolo dei governi in fase di attuazione e monitoraggio. Il pericolo temuto dal premier italiano è un accordo di massima che poi scarti sui poteri di interdizione, le “condizioni arbitrarie”, citate lunedì accanto alla leader di Berlino, rischi individuati nel pacchetto negoziale proposto dal presidente del Consiglio Charles Michel.
Il premier è convinto che “la logica di un accordo tra tutti i 27 sia un errore” e che il negoziato del Quadro finanziario pluriennale debba restare legato al Next generation EU. Qualche miliardo in più o in meno non fa la differenza, “l’ho detto ad Angela Merkel, l’obiettivo è non perdere la visione d’insieme”, dice Conte che finora ha messo sul piatto troppo poco per convincere i Paesi che hanno messo i paletti alla proposta della Commissione, Olanda, Svezia, Danimarca e Austria, e non solo loro.
Il biglietto da visita dei nodi di politica interna a cominciare dal ginepraio della revoca delle concessioni autostradali non è dei migliori per mostrare certezze e allontanare il vecchio fantasma dell’instabilità. Le riforme per ora sono sulla carta, si sente parlare più di aumento di spesa corrente che di tagli a quella improduttiva e anche le ultime scelte del governo nei decreti di tamponamento della crisi, non sembrano rispettare le direttrici di transizione ecologica e modernizzazione attesi dai nostri partner.
Ma Conte insiste che la posizione critica di alcuni Stati contro 23 non possa vanificare “un passaggio storico e una svolta cruciale” per i destini dell’Unione europea. Il ricorso alla retorica e alla storia tuttavia non modifica equilibri che non sono gli stessi di qualche settimana fa e l’elezione del presidente dell’Eurogruppo, l’irlandese Paschal Donohoe e la conferma di Andrzej Duda in Polonia, ne sono la più recente conferma, non solamente per i giochi all’interno del PPE. Anche l’Italia agli occhi dei nostri partner non è la stessa di dieci mesi fa quando la nascita del governo giallo rosso fece crescere le aspettative con la nomina di ministri autorevoli e l’ingresso in ruoli chiave nelle istituzioni europee. Pure le continue divisioni all’Europarlamento, con il Movimento 5 Stelle sempre più lontano dalla “maggioranza von der Leyen”, danno del nostro Paese una visione opaca, ben diversa dalla credibilità guadagnata con l’uscita dal governo della Lega sovranista.
Conte venerdì e sabato giocherà la partita con un alleato sicuro come Pedro Sànchez (nei giorni scorsi la Spagna come l’Italia ha messo in agenda diversi incontri preparatori con la Francia, Svezia, Germania e Paesi Bassi) e conta molto sulla sponda di Merkel e Macron, autori del primo passo verso il fondo comune europeo per il rilancio da 500 miliardi di euro. Con la certezza che l’Italia sia tutt’altro che in minoranza, tiene ancora come ultimissima opzione la carta di un veto che porterebbe però alla paralisi della trattativa e non gioverebbe certo al Paese. Pure la Cancelliera, nel colloquio al Castello di Meseberg e poi durante la cena, ha sconsigliato all’Italia posizioni rigide che difficilmente porterebbero a una chiusura positiva del negoziato.