Bruxelles – Tra le priorità della presidenza tedesca del Consiglio UE presentate in questi giorni figurano la difesa dei diritti fondamentali e le politiche di sostenibilità. Non a caso la presidenza, con il ministero degli Esteri e il gruppo di lavoro ONU su imprese e diritti umani, ha organizzato il 7 luglio il convegno “Imprese e diritti umani – verso un decennio di attuazione globale”.
In questo campo la Germania è un paese virtuoso: ha avviato nel 2016 un Piano nazionale su questi temi, sotto impulso del movimento globale guidato dalle Nazioni Unite. Che si tratti di condizioni lavorative, protezione dei lavoratori, retribuzione equa, parità di genere, rispetto di diversità e disabilità, l’impegno tedesco per rendere la globalizzazione socialmente equa è intenso.
Didier Reynders, commissario europeo alla Giustizia, ha preso parte all’incontro ribadendo l’interesse dell’UE a promuovere una responsabilità d’impresa che tenga conto dell’impatto dei processi di produzione sugli esseri umani.
Punto di partenza del dibattito era lo stato dell’arte dei Principi guida ONU su imprese e diritti umani, di cui nel 2021 si celebrerà il decennale. Principi che si innestano sul quadro ONU “proteggere, rispettare, rimediare”: lo Stato ha il dovere di proteggere dalle violazioni dei diritti umani a opera di terzi, ivi incluse le imprese; è responsabilità delle imprese rispettare i diritti umani; è necessario garantire un accesso maggiore delle vittime di violazione a rimedi adeguati, giudiziari e non.
Sulla base di tale valutazione, è stato presentato il progetto UNGPs10+/NextdecadeBHR, che comprende le misure da attuare in una roadmap ideale verso il 2030.
Per Anita Ramasastry, presidente del gruppo di lavoro ONU, di fronte alla “chiusura dei confini, i conflitti armati, le disuguaglianze, la crisi climatica e le discriminazioni” di questi tempi c’è l’esigenza di costruire “un futuro di inclusione, giustizia, pace e prosperità”. Per questo è essenziale fare impresa in modo responsabile, con due impegni essenziali che gli stati si sono assunti: il sostegno ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e ai Principi guida lanciati nel 2011.
Per il futuro, dice il vicepresidente Dante Pesce, sarà essenziale la consultazione con attori locali, nazionali e globali, per stilare una relazione di impatto e definire impegni e azioni da prendere.
I Principi guida sono “uno spazio comune per definire e attuare degli standard globali”, afferma Niels Annen, segretario di stato del ministero degli Esteri. “L’economia globale sono le persone”, ovvero chi crea valore aggiunto “con le mani e il cervello”. L’impegno per la ripresa non può farci dimenticare gli “obblighi ambientali, sociali e i diritti umani”, quindi proteggere i lavoratori più vulnerabili, come le donne che lavorano nel settore tessile in Bangladesh o gli operatori sanitari che non usano i dispositivi d’obbligo, è “una necessità economica”. Pur capendo che le imprese “soffrono per lo stallo economico e una competizione non equa”. Da qui l’intenzione della presidenza di dare insieme ai partner europei nuovo impulso alla responsabilità d’impresa.
Ne è convinto anche il commissario Reynders, per il quale la crisi ha mostrato “quanto vulnerabili siano le nostre società”. Migliaia di posti di lavoro sono stati persi e l’economia chiede un nuovo modello d’impresa “equo, sostenibile e resiliente”. D’altronde la Commissione europea ha già presentato “un piano di ripresa senza precedenti” che va proprio nella direzione di una “transizione sostenibile”.
I Principi guida sono il primo “quadro globale riconosciuto e autorevole” per prevenire “l’impatto negativo” che le attività imprenditoriali hanno sui diritti umani. Cruciali sono anche le sfide ambientali (cambiamento climatico, deforestazione, perdita di biodiversità), molte “strettamente legate ai diritti umani”. E’ necessario allora un diverso modus operandi delle imprese per attuare i Principi guida nell’UE. Quelle che saranno in grado di identificare l’impatto della loro attività su “persone, pianeta, società” saranno le più qualificate a gestire la crisi post-pandemica.
Per il commissario belga, una governance d’impresa più sostenibile sarà il risultato congiunto di due approcci. Primo, attenzione a performance finanziaria immediata, a discapito di “investimenti di medio e lungo periodo”, diversamente da quanto si faceva trent’anni fa. Poi, regolamentare le catene di fornitura, spesso foriere dei “rischi maggiori per i diritti umani e l’ambiente”. Pensiamo infatti che “solo un’impresa su tre oggi attua procedure di verifica preventiva (due diligence)” con riguardo all’impatto ambientale e ai diritti umani. Per creare imprese sostenibili, i direttori d’azienda dovranno coinvolgere “tanto i portatori di interesse quanto gli azionisti e integrare la sostenibilità nelle strategie aziendali”. Sulla due diligence, per Reynders “le azioni volontarie non hanno portato i cambiamenti necessari”, infatti gli stati membri stanno introducendo standard basati sui Principi guida ONU e OCSE, chiedendo allo stesso tempo “condizioni e regole uniformi” a livello europeo. Questo stimolerebbe le imprese ad applicare in concreto i Principi guida, per far decollare finalmente la transizione sostenibile globale.
Ottimo sapere che Parlamento, Commissione e Consiglio sono concordi nel ritenere che “serve una normativa obbligatoria” che regoli questi aspetti a livello di Unione.
Tra i partecipanti al convegno, anche John Ruggie, ex rappresentante speciale del Segretario ONU per l’impresa e i diritti umani. Per lui i Principi guida si rispecchiano in due azioni strategiche: porre i diritti umani al centro del processo decisionale e attuare politiche intelligenti che ne tengano conto. “Ricostruire meglio”, frase utilizzata da molti analisti nel post-pandemia, “non è uno slogan, ma vuol dire non considerare le persone un mero fattore di produzione”.
Per la prima volta da cinquant’anni le imprese riflettono “sul loro fine sociale”, che è in realtà “ampliare la sfera dei loro obblighi sociali” verso lavoratori e comunità, che siano all’inizio o alla fine della catena di valore.
Parlare di diritti umani e impresa non è una contraddizione, ma un’opportunità. Lo dice Stefano Sannino, vice segretario generale agli affari economici e globali del Servizio di azione esterna UE. I nuovi modelli di produzione dei prossimi dieci anni dovranno includere “standard sociali, oltre a diritti umani, dignità, uguaglianza”, tutti aspetti cruciali anche “nella percezione dei consumatori”. Del resto 16 stati membri, inclusa la Germania, hanno già allestito piani nazionali su impresa e diritti umani. Per Sannino, prevenire violazioni dei diritti umani e costruire catene di valore sarà essenziale per l’UE, che continuerà a sostenere i paesi partner nell’attuazione dei Principi guida ONU per promuovere “un modello di impresa equa”. Ne parla anche il nuovo piano d’azione 2020-2024 su diritti umani e democrazia, attualmente in discussione al Consiglio e negli stati membri. Per l’UE la condotta responsabile d’impresa resterà prioritaria, così il rispetto dei valori ad essa connessi.
Di valori parla anche Heidi Hautala, europarlamentare finlandese dei Verdi. Ci sono già esempi virtuosi di società civile, enti pubblici, imprese. Non sono pochi gli studiosi che rilevano quanto i consumatori oggi siano divenuti consapevoli e vogliano assicurarsi che quello che comprano non sia “il prodotto di lavoro minorile o altre deformazioni nella catena di fornitura”. Pensiamo ai guanti in lattice che usiamo per proteggerci in tempi di Covid, prodotti in Malesia da lavoratori bambini. I commissari Urpilainen, Hogan e Sinkevičius sono costantemente sollecitati a riflettere su questi obiettivi. E non dovrebbero essere solo le imprese ad applicare certi standard, ma anche il settore pubblico. Gli appalti pubblici europei, ad esempio, ne hanno di elevati, ma non menzionano i Principi guida ONU.
Anche l’OCSE nel 2011 ha modificato le proprie linee guida per rispettare gli obiettivi di sviluppo sostenibile, includendo i diritti umani. Christine Kaufmann, presidente del gruppo di lavoro sulla condotta responsabile d’impresa, riferisce che l’OCSE sta lavorando alle procedure di due diligence, includendovi l’ambiente e monitorandone l’applicazione in loco, importante soprattutto in tempi di pandemia.
Va da sé che la questione “impresa e diritti umani” interessi pure le ONG e i movimenti sociali, come ESCR-Net, Rete Internazionale per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, che milita per la giustizia sociale nel mondo. La co-direttrice Fernanda Hopenhaym afferma che “business as usual” non è più un’opzione e che “vale la pena ispirarsi ai movimenti femministi per essere incisivi”. Nemmeno “investment as usual” lo è, ci vogliono modelli alternativi basati sull’economia partecipativa e il rispetto dei diritti.
In vista del 2030, sarà necessario che governi e imprese cooperino, perché lo sviluppo di una società fiorente non può ormai prescindere da un ambiente sostenibile.