Bruxelles – Per l’innovazione c’è troppa poca Europa e troppa Italia. Servirebbe una maggiore attenzione dell’UE per un settore in grado di rispondere meglio a crisi come quelle che l’UE sta attraversando. Ma un’Italia deficitaria di cultura per l’innovazione e una frammentazione normativa lascia il Paese indietro. In attesa di una prospettiva europea, la politica di casa nostra deve sviluppare il tessuto per le start-up, senza tralasciare di giocare la partita su entrambi i tavoli. Nell’intervista concessa a Eunews il direttore generale di VC Hub Italia, Francesco Cerruti, fa il punto della situazione sul nuovo motore di sviluppo. Associazione costituita con l’obiettivo di rappresentare in maniera orizzontale la filiera italiana dell’innovazione, VC Hub Italia rappresenta più del 90% degli investitori italiani in innovazione, con masse in gestione
superiori al miliardo di euro.
Eunews: Già in occasione del nostro webinar ha fatto notare che l’Italia nel 2019 ha registrato sette volte meno gli investimenti complessivi in innovazione rispetto alla Francia e, sempre rispetto alla Francia, un numero inferiore di quattro volte delle start-up che hanno ricevuto finanziamenti. Siamo in ritardo. Quanto in ritardo, e come mai?
Cerruti: “Non è che in Italia ci siano meno idee o meno progetti. In Italia ci sono tre problematiche. Il primo è che c’è una platea meno larga di investitori in innovazione. Abbiamo meno giocatori nella partita. Casse previdenziali, fondi assicurativi, non investono. Preferiscono investire in altri tipi di settori.
Il secondo è un problema di ecosistema normativo, che è poco amichevole per le piccole e medie imprese innovative, e che rende difficile ottenere strumenti.
E: E’ ‘il caso dello sportellista che non conosce i bilanci e non eroga?
C: “Sì. Ma non è colpa sua, sia chiaro. E’ colpa di un problema più grande. Non vanno discriminate le realtà che innovano”.
E: Il terzo problema?
C: “in Italia c’è una cultura del sospetto per l’innovazione. L’opinione pubblica guarda di sbieco chi fa innovazione. Prendiamo Immuni, per esempio. Una realtà italo-italiana ha vinto un appalto pubblico avendo la meglio anche di colossi globali, eppure in Italia l’opinione pubblica ha evidenziato che ‘è del figlio di Berlusconi’, ‘è dell’amico di D’Alema’, ‘ma come avranno fatto a vincere?’, una cultura molto italiana”.
E: Tornando al problema degli investimenti e dell’accesso al credito, il punto è che in Italia non si investe in start-up e innovazione perché ritenuto troppo rischioso e dunque si preferiscono operazioni più sicure?
C: “Penso che il punto si proprio questo. Però va detto che il mondo politico ha capito la centralità del sistema. Tutti parlano di innovazione e digital, adesso”.
E: L’Unione europea può aiutare l’Italia a cambiare mentalità? E a livello europeo, cosa può fare?
C: “Penso che possa fare molto, anche perché al momento non molto è stato fatto per riformare un settore lasciato agli Stati membri. Noi interloquiamo con tutti. Abbiamo redatto un manifesto, Not Optional, sottoscritto da oltre 700 presidenti di start-up e investitori, per promuovere misure alternative per la start-up. Riteniamo che l’UE possa riforma il quadro normativo temporaneo sugli aiuti di Stato. Adesso, per l’emergenza COVID, è stata concessa flessibilità, noi vorremmo che passata l’emergenza si continui con regole diverse, meno stringenti.
E: Questa richiesta però richiede una battaglia politica in Europa da parte dei governi. L’Italia è pronta a negoziare queste nuove regole?
C: “In questo momento non c’è una strategia specifica su questo. Il nostro auspicio è che già alla fine di quest’anno, al più tardi dal 2021, venga portata avanti dal governo. Mi pare che il governo non sia ancora sensibilizzato a dovere su questo
E: Davvero così ottimista? Le previsioni economiche d’estate della Commissione dicono che il PIL italiano sarà ancora di più in caduta libera, mentre l’Istat denuncia che il 38% delle imprese rischia di chiudere quest’anno, un dato che per le micro-imprese tocca il 40,6%…
C: “E’ evidente che la situazione complessiva non è disastrosa, è peggio. Però le imprese innovatrici sono riuscite a rispondere meglio, e i privati possono guardare con attenzione maggiore a imprese che hanno retto meglio l’impatto della crisi”.
E: “Colin Mason, nella sua relazione stilata per la Commissione europea, avverte però che la pandemia di COVID-19 può comportare una contrazione immediata e di più lungo termine nella fornitura di capitale di rischio. Come si vince la paura di investire?
C: “Si vince con realtà fattuale, al di là delle opinioni personali. La realtà fattuale è che le imprese che fanno innovazione reagiscono meglio a situazioni di difficoltà”
E: La Banca centrale europea è intervenuta massicciamente proprio per garantire liquidità e accesso al credito, che però restano fermi allo sportello bancario. Forse servirebbe rivolgersi direttamente alla BCE? Servirebbe un modello di questo tipo?
C: “Nel mondo ideale sì. Calandoci nella realtà, come dicevano i padri fondatori, sarebbe opportuna la politica dei piccoli passi. Mi aspetto che questo lo faccia il governo, anche perché adesso tutto è gestito a livello nazionale. Nel medio-lungo periodo sarei contento se la BCE distribuisse ed erogasse direttamente le risorse, ma nell’immediato non mi sembra una soluzione possibile”.
E: Allora cosa si sente di chiedere alla politica di casa nostra?
C: “La principale cosa che chiediamo è la velocità. Anche se nel decreto rilancio sono state stanziate cifre importanti, il problema è che sono passati due mesi. Per fare un paragone, in Francia sono stati stanziati quattro miliardi di euro, e le start-up hanno già potuto attingere a queste risorse. In Italia ne sono stati stanziati meno, il che è normale viste le diverse dimensioni del mercato, ma ancora non sono a disposizione delle imprese”.