Bruxelles – Dopo la condanna sulla legge per la sicurezza nazionale di Hong Kong della scorsa settimana, l’UE torna ad esprimersi sulla violazione dei diritti umani portata avanti dal governo di Pechino.
L’occasione è il quinto anniversario della “repressione dei 709”, che il 9 luglio 2015 vide l’arresto di 300 avvocati e difensori dei diritti umani.
Secondo Nabila Massrali, portavoce del Servizio di azione esterna UE, molti degli arrestati si sono visti negare il diritto a “un processo e una difesa equi”. Altri lo hanno avuto solo dopo lungo tempo, e vi sono testimonianze secondo cui tanti sarebbero stati sottoposti a maltrattamenti e torture. Gli avvocati sarebbero stati “radiati dall’ordine”, mentre quelli rilasciati continuano ad essere “monitorati”.
L’UE ribadisce al governo di Pechino l’esortazione a garantire il rispetto dello stato di diritto, processi equi nonché a “svolgere indagini approfondite su tutti i casi segnalati di detenzione arbitraria, maltrattamenti e tortura” nei confronti dei difensori e delle loro famiglie.
Inoltre sottolinea che è necessario rilasciare tutti gli avvocati e gli attivisti incarcerati o perseguitati “prima e dopo la repressione dei 709”, come Yu Wensheng, Li Yuhan e Ge Jueping, restituendo loro la “libertà di movimento e di esercizio della professione”.
Le istituzioni europee non resteranno mai in silenzio di fronte “al deterioramento della situazione dei diritti civili e politici in Cina”. Come nel caso della “recente detenzione del professor Xu Zhangrun”, costituzionalista dell’Università di Pechino. Arrestato il 6 luglio, il docente è l’ennesima vittima delle rappresaglie del governo cinese nei confronti di studiosi e scienziati durante la pandemia del Covid-19. Xu Zhangrun aveva infatti condannato in uno studio la risposta della Cina nel gestire l’emergenza sanitaria, lamentando il divieto statale di diffondere informazioni fattuali.
Divenuto una vera e propria “icona liberale”, in un precedente scritto si era anche scagliato contro il ritorno al culto della personalità di Xi Jinping.
Un’altra vittima dell’attentato alla libertà di stampa e di opinione, ormai moneta corrente nel Paese da tanto, troppo tempo.