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Parlare di dimensione regionale all’interno dell’Unione europea significa anche riconoscere l’importanza politica delle regioni, sia come centro di potere, sia come comunità che si rapporta con lo Stato membro di appartenenza e con le istituzioni sovranazionali. L’idea alla base della costruzione europea è trovare una sintesi tra questi livelli di governo preservando l’unicità delle sue componenti. Proprio questa aspirazione è alla base del suo motto “Unita nella diversità”, adottato nel 2000.
Questo delicato equilibrio non riguarda solo la ripartizione delle competenze, ma anche, e sempre più spesso, questioni di cittadinanza e identità. Insieme all’identità nazionale, anche l’identità regionale gioca un ruolo sempre più importante nel definire il rapporto tra cittadini e UE, il loro attaccamento agli ideali e al progetto europeo, la loro posizione europeista o euroscettica.
I Trattati stessi costruiscono un quadro per la convivenza tra varie identità in un contesto unitario. Uno degli obiettivi dichiarati nel preambolo del Trattato sull’Unione europea (TUE) è “intensificare la solidarietà tra i […] popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni”. L’art. 2 accenna, inoltre, ai “valori comuni” degli Stati membri e l’art. 6 alle “tradizioni costituzionali comuni”. Allo stesso tempo, l’art. 4 impegna l’Unione a rispettare “l’identità nazionale” degli Stati membri, compreso il “sistema delle autonomie regionali e locali”. Le leggi fondamentali dell’UE non mirano dunque a far prevalere una sola dimensione identitaria, ma a conciliare queste identità garantendone l’equilibrio e gli spazi di autonomia.
L’idea di un’Europa delle regioni
Il coinvolgimento delle regioni nelle politiche europee avvenne inizialmente per motivi economici. Il completamento del mercato unico tra gli anni Ottanta e i primi anni Novanta pose, infatti, la necessità di agire per ridurre le disuguaglianze economiche esistenti tra le regioni, attraverso lo sviluppo di una politica di coesione. In contemporanea, a livello politico, emergeva un nuovo concetto di Europa, basato non più sulle nazioni – idea cara a De Gaulle negli anni Cinquanta – ma proprio sulle regioni. L’idea di “Europa delle regioni”, accolta da alcuni come la vera realizzazione dell’unità europea, avrebbe potuto superare i nazionalismi e le rivalità tra Stati membri, rifondando il continente come federazione di regioni uguali tra loro e interconnesse dal nascente mercato unico.
Con la nascita del Comitato delle regioni si riconosceva un nuovo livello di governance insieme agli Stati, ma non solo. Nel 1990, la Commissione lanciò anche iniziative destinate direttamente ed esclusivamente alle regioni, come il programma INTERREG di cooperazione transfrontaliera (esistente ancora oggi), aperto solo ai rappresentanti regionali. Secondo alcuni accademici, la Commissione si serviva di questo nuovo livello politico per aggirare gli Stati nazionali, creando una sorta di alleanza con le regioni. L’obiettivo sarebbe stato creare un’Unione più coesa basata sui livelli di governo più vicini ai cittadini: identità regionale e sovranazionale diventano quindi complementari.
In parallelo, la creazione di un canale istituzionale e diplomatico tra UE e regioni consentiva a queste ultime di interagire direttamente con le istituzioni europee, godendo di una certa autonomia dagli Stati di appartenenza. Si creavano quindi dinamiche complesse tra attori sovranazionali, nazionali e locali. In particolare, la dimensione europea diventava un elemento chiave nel dialogo tra gli Stati membri e le regioni. Per alcune di queste, l’appartenenza all’UE costituiva un canale di legittimazione e un modo per comunicare le proprie istanze e perseguire i propri interessi in modo autonomo.
(Approfondimento a cura de Lo Spiegone. Vai sul loro sito per leggere tutto il testo)