Bruxelles – Mentre si accende il dibattito riguardo al trattamento dei dati personali dovuto all’emergere delle nuove app di tracciamento contro il Covid 19, un sondaggio dell’ Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (FRA) rivela che già prima della pandemia vi era un basso livello di consenso tra i cittadini a livello europeo a condividere informazioni personali con imprese e istituzioni.
Dal sondaggio realizzato su un campione di 35.000 persone di 17 paesi UE, appare che il 41% degli intervistati non intende condividere nessun dato personale con aziende private e che il 20% si dice restio anche nei confronti delle autorità pubbliche.
Se vi è un buon livello di consenso a che informazioni di base quali data di nascita, domicilio, cittadinanza siano di dominio pubblico (63%), solo il 7 % è disposto a condividere le proprie opinioni politiche e religiose con gli organi governativi del proprio Paese.
Ciò che fa più paura è che i propri dati finiscano nelle mani di organizzazioni fraudolente e criminali (55%) o che i servizi d’intelligence stranieri (30%) o del proprio Paese (26%) le utilizzino in modo arbitrario. Una percentuale minore si dice invece preoccupata che forze dell’ordine (17%) o datori di lavoro (17%) abbiano accesso a informazioni personali .
In fondo alla classifica dei consensi, solo tra il 4 e il 5% della popolazione si dice d’accordo a che aziende private utilizzino il riconoscimento facciale e le impronte digitali a fini d’identificazione.
C’è da dire che un intervistato su 3 ignora la funzione svolta dall’Autorità garante della privacy nel proprio paese e che un numero simile di partecipanti non ha mai sentito parlare del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (General Data Protection Regulation) adottato dalla Commissione Europea nel 2016.
Se è vero che la funzione del GDPR, esplicitata nel primo articolo dei considerando del regolamento, sia quella di elevare “la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale” a diritto fondamentale, il livello di consapevolezza del diritto di privacy resta basso e in pochi sono davvero capaci di tutelare le proprie informazioni personali sul web.
Un partecipante su tre prende il tempo di leggere i termini e le condizioni aperti da pop-up e promemoria sui siti che che richiedono il nostro consenso sulla privacy e solo il 50% degli europei sa che la normativa in vigore consente il trattamento dei dati da parte di terzi per una durata di tempo limitato con la garanzia che l’utente possa accedere e monitorare il trattamento dei dati, nonché rettificare o anche ritirare il suo consenso a qualunque momento.
Vi é infatti da dire che i dati non sono tutti uguali, vi sono dati strumentali alla richiesta di attivazione di determinati servizi o contratti, e dati confidenziali relativi alla persona inerenti all’origine etnica, dati genetici, biometrici, relativi alla salute o all’orientamento sessuale che godono di una particolare tutela garantita dal GDPR.
Tra le campanelle d’allarme evidenziate dal sondaggio vi è senza dubbio la sfiducia dei cittadini nei confronti delle autorità pubbliche e nazionali nel trattamento dei dati. Il rapporto dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali sottolinea la necessità per i Paesi Membri di creare organi di controllo indipendenti di protezione dei dati personali che abbiano la funzione di informare i cittadini sugli strumenti che possono essere adoperati per tutelare la privacy al fine di conoscere gli avanzamenti legislativi in questa disciplina.