Roma – Mentre covid, post-covid, prospettive economiche preoccupanti monopolizzano l’attenzione, in Italia c’è spazio anche per discutere di riforma elettorale. O meglio: con quale maggioranza parlamentare porre mano a una eventuale (ulteriore) modifica costituzionale per eleggere le due Camere.
Se ne discute a Montecitorio, in commissione Affari costituzionali, dove si fronteggiano due proposte figlie di due schieramenti M5s e Lega ex alleati di governo.
Tutto nasce dalla frequenza con cui da noi negli ultimi anni- fenomeno sicuramente unico in Europa- si è proceduto a modificare il sistema elettorale: dal ’93 a oggi ben quattro riforme. Nel 1993 con il cosiddetto «Mattarellum», nel 2005 con il sistema poi definito «Porcellum», nel 2015 con l’ «Italicum» e infine il cosiddetto «Rosatellum» del 2017-
Ebbene, con l’obiettivo di porre un freno a modifiche elettorali troppo frequenti la proposta di ispirazione pentastellata (primo firmatario Francesco Forciniti seguito da altri sei compagni di partito) interviene sull’art.72 della Costituzione – che prevede “procedure normali” anche per la votazione di per l’approvazione di leggi di natura costituzionale- proponendo che le leggi elettorali siano approvate a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
La proposta della Lega (primo firmatario Giancarlo Giorgetti, e poi tutti gli altri componenti il gruppo parlamentare) propone invece di introdurre un articolo 59-bis nella Costituzione prevedendo che le norme per l’elezione della Camera e del Senato siano approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera e con votazione a scrutinio palese. Non solo. Le nuove norme si applicano a decorrere dal procedimento di elezione delle Camere della seconda legislatura successiva a quella in cui sono state approvate.
Un confronto che sta marcando il dibattito in commissione, dove da un lato si contesta l’eccessiva maggioranza proposta dai 5 stelle, dall’altro il momento di applicazione delle nuove norme.