Bruxelles – Salario minimo, la Commissione europea va avanti e avvia la seconda fase della consultazione pubblica avviata a gennaio volta alla definizione di regole di base comuni per dare, nei limiti del possibili, certezze ai cittadini-lavoratori e superare le frammentazioni esistenti. Le politiche del lavoro sono di competenza esclusiva degli Stati membri, ciò nonostante l’esecutivo comunitario ha strumenti giuridici a disposizione e valuta la doppia strada dell’iniziativa legislativa e delle raccomandazioni non vincolanti. Ragiona alla possibilità di introdurre requisiti minimi obbligatori attraverso apposita direttiva, assieme a linee guida politiche di indirizzo, senza condizioni obbligatorie.
“Siamo ancora in una fase di consultazione, ne attendiamo la fine per decidere”, fa sapere il capo del servizio del portavoce, Eric Mamer, senza entrare nel dettaglio. Non è chiaro quale via preferisca l’esecutivo comunitario, ma la via della direttiva è vista come utile “per dare certezze” ad un quadro ancora troppo frammentato.
Sono i trattati, di cui la Commissione è guardiana, a prevedere la possibilità legale e giuridica di intervento. L’articolo 153 del trattato sul funzionamento dell’UE offre la possibilità di adottare una direttiva nel settore delle “condizioni di lavoro” per stabilire requisiti minimi vincolanti per l’attuazione da parte degli Stati membri. La direttiva lascerebbe agli Stati membri spazio per decidere in che modo attuarli e non toglierebbe la libertà degli Stati membri e delle parti sociali di stabilire il livello dei salari minimi.
La Commissione von der Leyen vuole garantire che i salari minimi siano fissati a livelli adeguati e proteggano tutti i lavoratori. La prima fase della consultazione pubblica ha visto la centralità della contrattazione collettiva. L’UE vorrebbe dunque un quadro in cui venga fissato che la contrattazione collettiva deve essere “ben funzionante”. Accanto a ciò vorrebbe impianti normativi nazionali che stabiliscano salari minimi obbligatori con aggiornamenti regolari, con le parti sociali “coinvolte nella fissazione obbligatoria del salario minimo per supportare l’adeguatezza del salario minimo”. Ancora, si vogliono meccanismi di monitoraggio.
Da una parte, sostiene il commissario per il Lavoro e gli affari sociali, Nicolas Schmit, c’è una politica sociale da portare avanti. “Nell’UE un lavoratore su sei è classificato come lavoratore a basso reddito, e di questi la maggior parte sono donne”. Dunque discriminazioni e situazione insostenibili a cui porre rimedio. Dall’altra parte “lavorare per un’iniziativa sui salari minimi nell’UE è un elemento essenziale della nostra strategia di ripresa”, Dare maggiore potere d’acquisto vuol dire permettere maggiore stimolo ai consumi interni.
“È sicuramente positiva l’accelerazione della Commissione europea – afferma in una nota la deputata europea di M5S Daniela Rondinelli -. Tuttavia mettiamo in guardia da inaccettabili compromessi al ribasso. La crisi del Coronavirus rischia di accentuare le diseguaglianze sociali spingendo verso il basso i livelli retributivi e amplificando così il dumping sociale. Un salario minimo europeo, rispettoso delle differenze nazionali, aiuterebbe invece le nostre imprese a competere in maniera equa nel mercato europeo”.