Bruxelles – L’innovazione messa a dura prova dalla pandemia di COVID-19. Imprese ad alta crescita e imprese di nuova creazione (startup) vedono lo spettro della crisi dei loro finanziamenti. Già, perché complice la crisi innescata dalla propagazione del Coronavirus, gli investitori faranno molta più attenzione, e soluzioni quali il venture capital, forma d’investimento ad alto rischio tipicamente orientata a finanziare startup innovative, rischiano di essere accantonate.
A lanciare l’allarme Colin Mason, professore di imprenditoria alla Business School “Adam Smith” di Glasgow, nella sua relazione stilata, in maniera indipendente, per conto di un progetto della Commissione europea. L’esperto, uno dei più prestigiosi al Mondo, non ci gira troppo attorno. “La crisi economica creata dalla pandemia di COVID-19 potrebbe comportare una contrazione immediata e di più lungo termine nella fornitura di capitale di rischio”, e questo “avrà un impatto economico negativo significativo nel lungo periodo”. Perché? Perché a rimetterci saranno le imprese ad alta crescita. Queste, sottolinea la relazione, danno un contributo importante alla crescita economica. Sono innovative, basate sulla tecnologia e offrono un contributo significativo alla creazione di posti di lavoro.
Il problema è che start-up innovative e imprese ad alta crescita nei fatti restano fuori dagli schemi messi a punto sin qui a livello UE per sostenere il tessuto economico-produttivo. Ci si è concentrati sulla fornitura di garanzie sui prestiti per consentire alle banche di dare soldi a società a corto di liquidità. “Tuttavia, questo tipo di supporto non è appropriato per le imprese ad alta crescita”, rileva l’esperto. Inoltre, “le regole di ammissibilità per tali regimi spesso escludono tali imprese”. In un clima di generale deterioramento e profonda incertezza, a fronte di investimenti ad alto rischio, “gli investitori si concentreranno sul supporto delle loro società partecipate esistenti e pertanto sono molto meno propensi a prendere in considerazione la possibilità di effettuare nuovi investimenti”.
Nel venture capital sono gli investitori privati a fare la differenza. Nelle start-up spesso intervengono i cosiddetti “business angel”, persone fisiche che partecipano con risorse proprie che possono essere singole o di gruppo, se si riesce a convincere e far appassionare al progetto altri privati (più business angels che partecipano con soldi ed esperienza formano la cosiddetta “syndacation”). Ma i fondi di venture capital, invece, devono raccogliere capitali rivolgendosi a fondazioni bancarie, enti previdenziali, enti pubblici. Ci sono poi le piattaforme di crowdfunding, aggregatori di denaro privato.
Colin Mason ricorda che il mercato in questo momento è scettico. “E’ unanime il consenso sul fatto che le crisi economiche indotte dal coronavirus comporteranno un’immediata riduzione degli investimenti in capitale di rischio, con ripercussioni su tutti i fornitori” per i venture capital. Solo in Cina, è crollato di oltre il 50% nei primi due mesi dell’anno. In prospettiva per l’Europa la situazione potrebbe essere molto seria, se si considera che nel giro di quattro anni il volume di affari è più che raddoppiato. L’importo raccolto dai fondi di venture capital nell’UE-27 è passato da 16 miliardi di euro nel 2015 a quasi 39 miliardi di euro nel 2019.
Si rendono dunque necessari degli interventi, innanzitutto a livello nazionale. I governi dovrebbero “garantire che gli ecosistemi imprenditoriali restino intatti”, e fare in modo che “la contrazione degli investimenti in venture capital non allarghi le disparità geografiche esistenti negli investimenti in capitale di rischio e, di conseguenza, nelle imprese ad alta crescita”. Bisogna però evitare di restare con le mani in mano, per evitare l’acquisizione di società tecnologiche emergenti da parte di società straniere con il conseguente trasferimento di conoscenze ad altre regioni geografiche.