Bruxelles – Causa pandemia, a marzo 2020 la produzione alimentare in Italia è scesa del 6,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2019. Anche le stime per tutto il 2020 non sono positive, sintetizza in un’intervista a Eunews il presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio. Secondo il Centro Studi della federazione che rappresenta l’industria alimentare italiana, l’export scenderà del 15 per cento (in valore), con rischi al ribasso, le vendite interne faranno registrare un calo che si aggira tra il -15 per cento e il -18 per cento in valore e fra il -12 per cento e il -14 per cento in quantità, mentre la produzione arriverà a perdere 7-8 punti percentuali in quantità.
Nonostante “il settore sia stato in prima linea durante l’emergenza Covid-19 garantendo cibo a tutte le persone in quarantena”, spiega Vacondio, non è vero che non è in sofferenza a causa della pandemia. “Con la chiusura del canale horeca (Hotellerie-Restaurant-Café, ovvero l’intero settore alberghiero), il settore alimentare ha perso punti percentuale e accusato il colpo proprio come tutti gli altri“.
E come tutti gli altri settori, anche la filiera alimentare chiede il sostegno di Bruxelles, che lo scorso 27 maggio ha presentato la sua strategia Farm to Fork in cui chiede agli agricoltori un cambio significativo di passo per rendere il sistema agroalimentare europeo più sostenibile.
Eunews – Diverse sono state le critiche avanzate da parte dell’industria e del settore agroalimentare. Qual è la posizione di Federalimentare e quale potrebbe essere l’impatto della strategia sui costi di produzione e sul prezzo degli alimenti?
Vacondio – “Federalimentare è assolutamente a favore dell’impegno a far diventare il sistema alimentare europeo un modello di sostenibilità ambientale, sociale ed economica e già da molti anni l’industria italiana ha intrapreso questo percorso. Per raggiungere l’obiettivo, che riteniamo dunque assolutamente condivisibile, non possiamo però non tener conto preventivamente dell’impatto economico che gli impegni richiesti potrebbero avere sulle nostre aziende, PMI in particolare, già colpite dall’emergenza Coronavirus. Secondo il piano della Commissione nei prossimi 18 mesi verranno fissati codici di condotta, regole per la riformulazione, limiti massimi per alcuni nutrienti e nuovi criteri di sostenibilità. Nel 2022, poi, si prevedono, tra le varie misure, nuove regole per i materiali a contatto con gli alimenti, definizione di profili nutrizionali europei e un sistema di etichettatura fronte pacco armonizzato obbligatorio ai quali i produttori dovranno adeguarsi. Un fitto calendario di scadenze che, se seguito in questi termini, potrebbe risultare economicamente insostenibile per l’industria alimentare e su cui l’Italia dovrà far valere le proprie ragioni durante i negoziati. Vorrei ricordare che la sostenibilità si basa su tre pilastri, strettamente legati tra di loro: ambientale, sociale ed economica”.
E. – La strategia ‘dal produttore al consumatore’, insieme a quella sulla biodiversità, è stata presentata dopo vari rimandi, anche a causa del Covid-19. Si può dire che nella sua stesura, da Bruxelles, abbiano tenuto conto dell’impatto della pandemia sulla filiera agroalimentare?
V. – “Crediamo di no perché gli impegni delineati dalla Commissione comporteranno notevoli costi aggiuntivi che graveranno su un sistema già di per sé in grave difficoltà. La priorità ora deve essere cercare di aiutare e facilitare le aziende – soprattutto le PMI che costituiscono il 99 per cento dei produttori europei – e che rischiano seriamente la sopravvivenza”.
E. – La strategia UE impone una tabella di marcia per i prossimi anni. Entro il 2022, la Commissione intende proporre un’etichettatura nutrizionale “armonizzata e obbligatoria” a livello comunitario. L’Italia però ha più volte sottolineato l’interesse a mantenere il ricorso a un sistema di etichettatura su base volontaria…
V. – “Noi speriamo che rimanga su base volontaria anche se a questo discorso si affianca un tema di concorrenza che rende la questione davvero molto sottile. Nel senso che, anche se il sistema di etichettatura nutrizionale dovesse rimanere su base volontaria, sarà poi il mercato, e quindi il consumatore e di conseguenza la GDO (Grande distribuzione organizzata, ndr) a decidere. È, quindi, primariamente importante un approccio armonizzato convinto e partecipato da tutti gli Stati membri che sostenga uno schema basato su solide evidenze scientifiche, strumento per il consumatore nell’adozione di diete varie, equilibrate e sostenibili. Uno schema che non discrimini i singoli cibi applicando semplicistiche formule matematiche ma sia in grado anche di tutelare l’enorme patrimonio culturale dato dalle tradizioni e diverse abitudini alimentari dei paesi dell’UE al fine di evitare anche possibili strumentalizzazioni commerciali”.
E. – Ci sono possibilità che la proposta italiana di etichettatura a batteria (‘NutrInform Battery’) sia tenuta in considerazione dalla Commissione europea al momento della proposta?
V. – “Sì, perché l’Italia dal punto di vista del food & beverage in UE ha un peso specifico molto forte sia per i consumi che per la qualità dei nostri prodotti, per questo crediamo che la nostra proposta non sarà lasciata ai margini o trascurata con facilità. A questo si aggiunga che il nostro Parlamento ha votato all’unanimità per la NutrInform battery e anche i rappresentanti italiani a Bruxelles stanno portando avanti la battaglia contro il Nutriscore. Naturalmente, siamo assolutamente disponibili a una mediazione, ma l’Europa deve tenere conto della nostra posizione che si basa su criteri scientifici secondo i quali non esistono cibi salubri e cibi insalubri ma solo diete equilibrate e non equilibrate per cui ogni cibo può essere mangiato senza eccedere e nella giusta quantità”.
E. – Molti temono che la scelta possa invece ricadere sul sistema Nutriscore (adottato già in Francia e raccomandato anche in Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svizzera). Quali rischi per l’export Made in Italy?
V. – “Ci sono dei rischi concreti che, secondo la mia tesi, sono maggiori di quelli che possono derivare, ad esempio, dai dazi. Nel caso dei dazi, infatti, si tratta di un aumento dei prezzi che incide poco sulla disponibilità dei consumatori a comprare cibo Made in Italy: chi acquista i nostri prodotti non lo fa perché sono economici ma perché sono eccellenze per le quali è disposto a spendere anche qualcosa in più. Il Nutriscore, invece, mette un semaforo sui prodotti e se quel semaforo è rosso la percezione nel consumatore è che quel prodotto sia dannoso per la salute, un tema delicato su cui nessuno è disposto a correre rischi. Ecco perché il sistema francese rischia di danneggiare il made in Italy e delle sue eccellenze (come il prosciutto di Parma o il parmigiano reggiano)”.
E. – Altro discorso riguarda l’annuncio della Commissione di proporre l’estensione a determinati prodotti dell’obbligo dell’indicazione di origine o di provenienza…
V. – “Per Federalimentare la trasparenza è fondamentale, soprattutto se è un’esigenza del consumatore, il nostro principale azionista. Quello che il consumatore desidera noi forniamo, l’importante è che le regole siano armonizzate a livello europeo di modo che tutti gli operatori competano ad armi pari e che non si confonda l’origine di una materia prima con la sua qualità e la sua sicurezza: l’industria alimentare è sempre attenta ad entrambe queste caratteristiche e le assicura tanto sulla materia prima italiana quanto – e forse ancora di più – su quella estera”.