Eurostat ci comunica oggi che l’inflazione (anche a causa delle misure di contenimento per il Coronavirus) non c’è più. Nell’area euro per il mese di maggio ci si attende uno 0,1 per cento di inflazione (e l’Italia è in linea).
Non è una buona notizia. Si complica la vita dei governi che hanno un alto debito, e quella delle aziende, che hanno meno entrate e anche loro debiti più costosi.
L’inflazione, lo sappiamo tutti, indica in sostanza una perdita di valore del danaro, i prezzi per uno stesso bene crescono. In generale si ritiene che un po’ di inflazione faccia bene (la BCE ad esempio la ritiene ottimale quando è prossima ma inferiore al 2 per cento), perché stimola i consumi (compro ora, prima che il prezzo aumenti) e di fatto alleggerisce il servizio dei debiti, perché il loro valore reale cala (sempre 100 ti devo, ma negli anni quel 100 mi costa meno). Questo vale ovviamente anche per il debito pubblico di uno Stato, ed è un margine che diventa sempre più importante più è alto il debito.
Quando l’inflazione crolla, o se arriva addirittura la deflazione, quando cioè l’indice dei prezzi si colloca al di sotto dello zero, allora è un guaio grosso. Perché da una parte secondo molti studiosi i consumi si contraggono, perché si crea l’aspettativa di ulteriori cali, dunque si rinviano le spese, mentre dall’altra i debiti pesano sempre di più: quei 100 che ti devo mi costano sempre di più. Dunque si rischia l’insolvenza. Per uno Stato questo vuol dire che il servizio del debito assorbe sempre più risorse, lasciandone meno disponibili per investimenti, o per la spesa sociale.
Un problema in più insomma per l’economia, che per aziende che vedono crollare il fatturato ed aumentare i costi del debito può anche diventare mortale e che per i governi vuol dire un debito pubblico sempre più ingestibile.