La proposta della Commissione sul rilancio economico dell’UE ha ricevuto molti apprezzamenti. Qualcuno ha parlato di una svolta storica per l’UE. Dopo la presentazione al Parlamento europeo da parte della presidente Ursula von der Leyen, sono state usate definizioni come D-Day e passaggio del Rubicone, eventi memorabili, certo, ma che poco o nulla hanno a che fare con la solidarietà. Poche e generalmente poco circostanziate sono state invece le critiche, al di fuori di quelle dei cosiddetti paesi frugali, come l’Austria e l’Olanda.
Si possono comprendere i timori degli euroscettici e dei vari sovranisti vecchi e nuovi, ma non si dovrebbe relegare la battaglia per le obbligazioni europee ad una sfida tra ricchi e poveri. Non è nemmeno una questione da federalisti europei. Ed è stato invece giusto provare a far passare (finalmente) un altro tassello per rafforzare la zona euro, non in nome di ideali astratti, ma per il pragmatico (ma non per questo meno nobile) obiettivo di fare comunità attraverso uno sviluppo più armonico sotto il profilo socio-economico. Delors e altri lo avevano previsto e auspicato. Ma dopo tanti anni, ci sono forze politiche votate dai cittadini alle ultime elezioni europee che ci credono ancora. Non sono dei matti o dei Don Chisciotte.
Durante la precedente crisi finanziaria, l’UE ha fatto progressi notevoli ( e impensabili) in materia di unione bancaria e di politica monetaria. La storia dell’integrazione insegna che vale il motto “mai dire mai”. Insistere come ha fatto l’Italia negli ultimi mesi per ottenere che l’UE emetta obbligazioni europee era un errore? Non si direbbe. L’Italia insieme a molti altri Governi come Francia e Spagna e diverse forze politiche trasversalmente rappresentante in tutti gli stati dell’UE, auspicano uno scatto in avanti non velleitario e fittizio, ma ricco di valore politico, economico ed anche etico. Non chiedono di salvare questo o quel Paese, ma di salvare il progetto politico comunitario, superando il vecchio lascito storico dell’equilibrio europeo alla Metternich contro cui, in Italia, si batterono personalità del calibro di Mazzini e Garibaldi. Si tratta di un obiettivo davvero rispettabile, soprattutto in tempi di stragi da pandemia.
Passata l’emergenza, ma già adesso, lo straordinario “piano marshall” proposto dalla Commissione europea (e fortemente sostenuto dal Parlamento europeo) prevede la raccolta di risorse per finanziare anche investimenti pubblici che da anni sono stati colpevolmente trascurati. Diventa essenziale individuare quali settori si dovranno sostenere e quali investimenti attivare.
Perché questa non è una recessione qualunque: si presenta come un ripiegamento della produzione e della domanda che ha pochi precedenti storici. Questa volta, gli stati non faranno un po’ di decifit per aiutare la congiuntura. Viene chiesto loro di tenere in vita l’economia, in attesa che questa si riprenda (sperabilmente) in tempi non troppo lunghi. Ma se si chiede agli stati, cioè ai tax payers, di salvare il fatturato e il reddito di imprese, lavoratori e famiglie, si deve anche chiedere allo stato (se non ora, quando?) di usare le risorse pubbliche per migliorare le infrastrutture socio-economiche del domani. Parliamo di misure previste dal new green deal, dalla digitalizzazione. L’offerta di beni di pubblica utilità, non potrà che avere una ricaduta positiva sulla competitività e sulla qualità della vita dei cittadini, innalzando il livello civile dell’intera Europa.
Dopo la proposta della Commissione, forte dell’accordo tra Francia e Germania, il negoziato europeo entra adesso nel vivo. E le famiglie politiche europee dovrebbero continuare a far sentire la propria voce, per circondare di valore politico un dibattito che non dovrebbe rimanere solo appannaggio dei governi nazionali. Fin quando staremo tutti in attesa di vedere come va a finire il “tira e molla” che sembra dominare le riunioni di ambasciatori, ministri e capi di stato nazionali, l’UE resterà prigioniera dei veti incrociati e imprigionerà le nostre menti in un circolo vizioso che rischia di confinare la formazione del consenso attorno al minimo comun denominatore.