Bruxelles – Attraverso report giornalieri sulle azioni e sugli ordini di arresto diramati dalle autorità dell’Ungheria nei confronti dei giornalisti e altri oppositori politici, la Commissione europea sta valutando giorno per giorno l’esistenza di una “base legale” per intervenire nei confronti del governo di Budapest, accusato di sfruttare a proprio vantaggio lo stato di emergenza per ampliare le proprie potestà. Per ora le premesse per intraprendere una procedura di infrazione nei confronti del paese “non ci sono”, sostiene la commissaria per la trasparenza e i valori, Vera Jourova, nel corso del dibattito in plenaria sulla tenuta dello stato di diritto in Ungheria ai tempi del Covid-19.
I commissari stanno monitorando le misure di emergenza introdotte in tutti gli stati membri a causa del Covid-19 (22 stati membri su27), ma “il caso dell’Ungheria suscita particolare preoccupazione”, si limita a dire la commissaria. I poteri in capo all’esecutivo sembrano più ampi rispetto a quelli introdotti da altri stati membri, i tempi dello stato di emergenza non sono predefiniti ma decretati a oltranza, né sembrano “limitati al necessario” o “strettamente proporzionati” all’esigenza di bloccare la diffusione della pandemia. Le misure straordinarie, insiste la commissaria, sono legate a contingenze eccezionali, e dunque “non possono durare all’infinito” e i governi devono consentire che tali poteri siano sottoposti a un controllo democratico, come in un qualunque ordinamento dotato di un sistema di pesi e contrappesi.
Oltrettutto, aggiunge, i governi europei stanno ora entrando in una nuova fase, quella di convivenza con il virus, per cui le misure straordinarie adottate andrebbero gradualmente ridimensionate e sostituite da misure più adeguate.
Rimane aperta sul tavolo dell’UE la possibilità di ricorrere all’articolo 7 del Trattato di Lisbona (l’opzione nucleare, che consiste nel sospendere il diritto di voto). Per Jourova sarebbe auspicabile invece vincolare le risorse del prossimo Bilancio pluriennale europeo (2021-2027) al rispetto dei valori e dei diritti fondamentali europei (contenuti nell’articolo 2 del Trattato). In sostanza, agli stati che fuoriescono dal perimetro della democrazia vengono preclusi i fondi del bilancio.
Tra le priorità della Commissione europea nella crisi, ribadisce Jourova di fronte all’Aula, c’è sicuramente combattere la disinformazione. La lotta alle fake news da parte delle autorità statali non può però sconfinare nel limitare la libertà di stampa e quella di disporre di un pluralismo delle fonti di informazione. L’ambiente in cui sono obbligati a lavorare i giornalisti in Ungheria “si è degradato da diversi anni” denuncia la commissaria europea, ma si è ulteriormente aggravato in seguito all’approvazione da parte del governo di Budapest di una disposizione che penalizza con l’incarcerazione la diffusione di informazioni che vengono classificate dal governo come fake news.
Ora più che mai, in tempi di emergenza, “è fondamentale conservare un giornalismo serio, accurato e che applichi degli standard professionali” e soprattutto possa controllare le misure imposte dai governi per combattere la minaccia sanitaria. Il lavoro del giornalismo, aggiunge, è quello di rendere conto alla politica delle sue azioni.
L’assenza in Aula di Viktor Orban
Data la natura particolare della questione, David Sassoli ha invitato il premier ungherese a presenziare il dibattito in plenaria, nonostante le misure restrittive disposte per contenere i contagi e le raccomandazioni di continuare a lavorare da casa per quanto possibile. Orban ha però declinato l’invito del presidente dell’Europarlamento, sostenendo di essere troppo impegnato nella lotta alla pandemia per potervi prendere parte e proponendo, in alternativa, la partecipazione in videoconferenza del ministro della Giustizia ungherese, Judith Varga. Nella lettera Sassoli ha posto l’accento sul fatto che, a seguito di una decisione della Conferenza dei presidenti non sarebbe stato possibile partecipare da remoto, “malgrado le attuali ed eccezionali circostanze”.
Dunque, il dibattito in Aula sullo stato di diritto in Ungheria si è svolto senza alcun rappresentante del governo di Budapest.
A farne le veci, diversi eurodeputati che hanno difeso le decisioni prese da un Parlamento che è stato “democraticamente eletto in Ungheria”. In merito all’assenza in Aula del premier ungherese, Andor Deli, eurodeputato di Fidesz (il partito di Orban che rientra nella famiglia politica dei popolari, PPE) ha accusato l’Europarlamento di non aver “permesso la partecipazione del premier” per il fatto che “non ha potuto partecipare da remoto, nonostante in altre riunioni precedenti i rappresentanti della sinistra abbiamo potuto farlo. Perché questo non viene permesso?” chiede, prendendo la parola. Per Deli “non c’è stata alcuna violazione nella legislazione ungherese” per cui il dibattito non rispetta i diritti fondamentali dell’Unione europea”.
Molti altri eurodeputati hanno, invece, invitato la Commissione europea ad avviare una procedura di infrazione o di vincolare i finanziamenti europei al rispetto dello stato di diritto. “La situazione in Ungheria è totalmente inaccettabile” accusa, tra gli altri, la presidente del gruppo dei Socialisti e democratici, Iratxe Garcia Perez, per la quale ormai l’Ungheria non è più una “democrazia completa”. “L’Europa non può permetterlo” ribadisce, “quello che accade in Ungheria è un “attacco ai valori e alla reputazione dell’UE”. “ll silenzio è complicità” e per questo ha rinnovato l’appello a Consiglio e Commissione UE ad agire.