Bruxelles – Non è complicato da capire: tutto è cambiato. Dopo qualche mese di epidemia da Coronavirus il petrolio non si compra più, ma si viene pagati, ed anche bene, per prendersene qualche barile; nei Paesi Bassi i fondi pensione, uno dei maggiori asset del paese, hanno perso quasi 80 miliardi nel primo trimestre; la Germania si è resa conto che senza le componenti, come freni, parti meccaniche, motori elettrici, appaltati a circa 800 società italiane, la sua potente industria automobilistica non può ripartire.
E allora ecco che all’improvviso le cose accelerano, improvvisamente la cancelliera Angela Merkel può “immaginare” che si mettano più soldi in campo per fronteggiare la crisi economica, che forse si potrà anche parlare di bond europei, ecco che i quattro pilasti dell’azione europea cominciano a marciare insieme: non più solo l’intervento della Banca europea per gli investimenti (250 miliardi) più il Mes volontario senza condizioni per le spese sanitarie (altri 200 almeno) più il fondo per la cassa integrazione SURE (100 miliardi) ma anche il Recovery Fund, cioè quella massa da 1.000-1.500 miliardi che, attraverso obbligazioni emesse dalla Commissione europea, potrà andare a sostenere come un nuovo bazooka l’economia del Continente.
Lo sblocco della discussione è arrivato quando si è concordato che questo Fondo per la ripresa sia collocato non proprio dentro il Bilancio settennale 2021-2027 dell’Unione, in discussione da mesi, ma sia in qualche modo “incardinato ad esso”. Banchieri centrali danno per scontato che si arrivi, in sostanza, almeno a raddoppiare le risorse gestite dalla Commissione, passando dai poco più di 1.000 miliardi dell’MFF naufragato lo scorso dicembre in sostanza ad una massa utile di almeno 2.000 (vicina al 2 per cento del reddito lordo europeo), attraverso una garanzia iniziale degli Stati che dovrebbe collocarsi tra i 200 ed i 300 miliardi, per, in sostanza, dare il via all’operazione prima che entri in vigore il prossimo MFF, il primo gennaio prossimo. Quello che chiedono i nordici è che il capitale destinato alla spesa diciamo “ordinaria” resti nell’ordine di grandezza che era in discussione prima della crisi, attorno ai 1.000 miliardi, meno dell’uno per cento della Ricchezza Nazionale Lorda europea.
Da una parte dunque il riconoscimento dello stato delle cose da parte dei paesi “frugali”, quelli che pensavano che il loro benessere si sarebbe mantenuto grazie ai risparmi del passato come in tante bolle isolate dal resto dell’Unione, e dall’altra le pressioni, non sempre uguali, non sempre ragionevoli, di paesi come Francia, Italia, Spagna, Belgio, un numero arrivato a contare almeno una dozzina di governi, hanno portato sul tavolo che si aprirà al Consiglio europeo di giovedì un pacchetto completo e ricco. Che non sarà confezionato lì per lì, ci vorranno ancora alcune settimane, ma che potrebbe partire tutto, magari un pezzo per volta, già entro i prossimi mesi.
Molte cose vanno ancora chiarite, sarà necessario definire strumenti tecnici, tempistiche, settori coperti, ma non si parla più del “cosa”, ma del “come”. Non ci sono più tabù.
Il primo tema è quello della tempistica. E’ noto che molti governi, tra i quali quello italiano, premono per fare il più presto possibile e questo si scontra con i dubbi e le prudenze dei molti partner nordici.
Il secondo è quello delle condizioni del funzionamento e del ricorso ai fondi. Il meccanismo, ne abbiamo parlato più volte, è che, come anche Merkel ha accettato di fare, in base all’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione, la Commissione europea emetterebbe obbligazioni a tasso prossimo allo zero e su tempi di rimborso molto lunghi. C’è da definire, è evidente, il tasso e i tempi.
C’è anche definire se una parte, e che parte, di questi 1.000 o più miliardi saranno potranno essere contributi a fondo perduto per progetti che nascono dall’emergenza Coronavirus, ma che si possono inserire nel solco di altri programmi normalmente finanziati dalla Commissione con il suo bilancio pluriennale. La Spagna vorrebbe che questi contributi fossero la totalità dell’intervento, ma è impossibile che una richiesta del genere possa passare. Il dibattito, difficile, comunque è aperto.
Talmente aperto che il Consiglio europeo di giovedì dovrebbe solo “consolidarlo”, ma senza prendere impegni formali. Probabilmente non ci saranno conclusioni scritte, ma solo una dichiarazione del presidente del Consiglio Charles Michel, che indicherà da dove si riparte e dove si intende arrivare. Poi toccherà alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, mettere nero su bianco una proposta, il che avverrà, come ha annunciato il 29 aprile. Poi la parola, giovedì prossimo, tornerà all’Eurogruppo, per arrivare, sperano i più ottimisti, a definire il tutto entro giugno.