Ogni anno tra fine dicembre e inizio gennaio i think thank globali si cimentano nello stendere la lista dei rischi che attendono economie, mercati e società nell’anno in arrivo. Quelle che sono state stilate a suo tempo per questo 2020 che passerà alla storia per la pandemia del Coronavirus, che ha messo in quarantena auto-inflitta le principali economie e società del globo sono ovviamente del tutto ‘cannate’. In testa praticamente a tutte c’erano eventi ambientali estremi e rischi geopolitici. I primi evidentemente in omaggio all’effetto Greta, dominatrice delle scene mediatiche del 2019 e ora letteralmente cancellata dal virus, e i secondi che riflettevano invece il mood dei pensatori ‘provati’ per così dire dagli eventi degli ultimi 3 anni, che avevano messo a rischio la globalizzazione multilaterale pacifica e benefica causa l’avanzata del populismo: Brexit, elezione di Trump e conseguente protezionismo con allegata Guerra dei Dazi, scollamento europeo sul tema dell’accoglimento dei migranti, polveriera mediorientale, etc. Come una ventata gelida di aria polare, tra febbraio e marzo il virus ha spazzato via tutto e costretto i think-tankers a riformulare precipitosamente gli scenari.
LA RECESSIONE IN ARRIVO VIENE MISURATA CON I PARAMETRI DEL PASSATO
Ora ovviamente sono tutti concentrati sul virus e sulla recessione globale auto-inflitta con le misure di contenimento e di blocco dell’attività economica e sociale decise un po’ dappertutto: sarà una ‘V’, e se sì con angolo acuto o ottuso? Oppure una U, ma tipo secchio della spazzatura o lunghissima vasca da bagno vittoriana? O magari una L, ma anche qui la depressione che segue la caduta quanto dura? Oppure una radice quadrata, che sta andando molto di moda, per cui si scende a V ma si risale per raggiungere un punto più elevato della partenza da cui però si stende un piatto altipiano, (plateau fa più fico)? Tutte ipotesi basate sul passato e nessuna su una lettura ‘originale’ di quello che sta succedendo. Ci vorrebbe Jules Verne o magari Isaac Asimov, perché è possibile che la crisi da virus non somigli a niente di già visto, ma sia una specie di macchina del tempo che ci sta ‘sparando’ in un futuro che senza virus forse avremmo raggiunto tra un paio di decenni.
UN TEST DI MASSA PER LA DIGITALIZZAZIONE E LA DISCIPLINA SOCIALE
A pensarci bene il virus si inserisce perfettamente nei megatrend secolari già da tempo individuati: digitalizzazione e automazione pervasive, allungamento della vita e invecchiamento della popolazione, con conseguente sanitarizzazione di massa, ma anche controllo politico e sociale sempre più necessario a garantire che il processo produttivo e distributivo globale non sia disturbato troppo da movimenti ‘antistorici’ e ‘antimoderni’, come il sabotaggio delle macchine industriale da parte dei Luddisti all’inizio del 1800 in Inghilterra. Una delle prove generali indotte al virus, oltre a una specie di servizio di leva obbligatoria di digitalizzazione per milioni di persone con lo smart working, è stata infatti la ‘misurazione’ dell’obbedienza delle popolazioni alle misure di arresti domiciliari di massa adottate per contenere il contagio. Sicuramente nessuno lo ha progettato a tavolino, ma nel mondo del dopo-virus chi governerà saprà che a fronte di una minaccia potenzialmente letale ma statisticamente poco rilevante le popolazioni del pianeta sono disposte a rinunciare senza protestare a libertà considerate intoccabili, come muoversi liberamente, riunirsi in piazza per un concerto o per una manifestazione.
UNA FORMIDABILE OCCASIONE DI RADICALE RISTRUTTURAZIONE DI IMPRESE E PRODUZIONI
E anche la recessione violenta in arrivo, è una cosa buona o cattiva? Certamente vuol dire milioni di persone che perdono il lavoro, altrettanti milioni di attività economiche minori costrette a chiudere, interi settori in crisi – come il turismo, gli alberghi, i ristoranti, le crociere, le palestre, cinema e teatri – che avranno bisogno di tempo per riprendersi. Ma anche una formidabile occasione di quella che una volta si chiamava ristrutturazione industriale per le imprese, soprattutto le più grandi, con colossali pulizie di bilancio, taglio di costi e rami secchi, innovazione tecnologica, lancio di nuovi prodotti e servizi, etc, etc, etc. Prendiamo due estremi, dall’America, dove tutto succede prima e più velocemente. Nella seconda metà di marzo ben 16 milioni di americani hanno chiesto il sussidio di disoccupazione, perché hanno perso il lavoro, immaginiamo soprattutto nella GIG Economy. Ma nei quattro giorni prima di Pasqua Wall Street ha incassato la miglior settimana da 45 anni.
LA NUOVA ERA ECONOMICA POTREBBE ESSERE UN PROBLEMA PER I PAESI EMERGENTI
Una delle cose che si possono intravvedere in questo futuro in cui il virus ci sta sparando è il capovolgimento di un altro paradigma globalmente accettato, vale a dire che il futuro fosse nelle Economie Emergenti, con popolazioni giovani e una classe media in crescita che si preparavano a sorpassare quelle sviluppate appesantite da una popolazione invecchiata e da consumi sempre più stanchi. E’ possibile che l’economia dei paesi avanzati nel dopo virus sia molto meno consumatrice di materie prime, a cominciare dal petrolio, e molto meno basata sulla mobilità fisica di milioni di persone che si spostano ogni giorno per decine di chilometri da casa al lavoro e ritorno. E magari un’economia che al posto dei dazi di Trump alzerà invece barriere sanitarie al movimento di persone e merci, molto più difficili da contestare con gli argomenti del libero mercato e della globalizzazione necessaria. E infine un’economia dove la tecnologia la fa da padrona, con le chiavi del motore produttivo in mano ai giganti americani dell’high tech che diventeranno ancora più giganteschi. Sembra uno scenario in cui lo spazio per continuare a emergere per i paesi emergenti sia abbastanza ridotto.
UN FUTURO NON PREVISTO DAL COPIONE
Governi e autorità economiche e monetarie, in America e anche in Europa, stanno facendo uno sforzo immane per riportarci dove eravamo prima del virus, che invece forse ci sta sparando in un futuro non previsto dal copione scritto dai think thank.