Bruxelles – Nessun giudice nazionale può esser sottoposto a procedimento disciplinare per essersi rivolto alla Corte UE, per qualsiasi motivo esso sia. E’ il principio stabilito dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea, chiamata a pronunciarsi su quanto avviene in Polonia. Il governo di Varsavia ha messo mano all’ordinamento della giustizia, introducendo novità che riducono l’indipendenza del poter giudiziario permettendo in particolare all’esecutivo di valutare l’operato dei giudici e, in caso, prendere provvedimenti.
Se da una parte la Corte di Lussemburgo dichiara “irricevibili” due domande di pronuncia pregiudiziale sulla riforma polacca del 2017 che istituisce il nuovo schema di procedimento disciplinare nei confronti dei giudici, dall’altra parte però ha chiarito che “non possono essere ammesse disposizioni nazionali che espongono i giudici nazionali al rischio di procedimenti disciplinari per il fatto di aver adito la Corte UE mediante un rinvio pregiudiziale”.
Chiedere il parare del massimo organismo di giustizia dell’Unione europea, sottolineano da Lussemburgo, è fondamentale per svolgere la propria funzione. Procedimenti disciplinari per il solo rivolgersi alla Corte UE sarebbero una prassi “atta a pregiudicare l’effettivo esercizio”, da parte dei giudici nazionali interessati, della facoltà di porre questioni alla Corte e delle funzioni di giudice incaricato dell’applicazione del diritto dell’Unione ad essi conferite dai Trattati. Inoltre, il fatto di non essere esposti a siffatti procedimenti o sanzioni disciplinari per tale motivo costituisce “una garanzia inerente alla loro indipendenza”.
Quindi se la Polonia interviene contro i giudici polacchi per la richiesta di consultazioni con Lussemburgo, si ha una violazione dello Stato di diritto e dei principi cardine della democrazia. In quel caso la Commissione può intervenire.